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mercoledì 16 maggio 2012

Fratelli




Nella New York degli anni 30’ della rivoluzione fordista, del fiorente cinema “all’americana”*, dei bar post proibizionismo, dei porno-amatoriali proiettati in bordelli bui e fumosi, la famiglia Tempio si stringe nel dolore per la prematura morte di Johnny, il terzo e ultimo fratello di una famiglia malavitosa italoamericana. La lunga veglia del funerale(“The Funeral”, il titolo originale) è l’occasione per meditare sulla vendetta per l’assassinio e, al tempo stesso, un momento per scavare tra le pieghe oscure del sacro nucleo familiare.
“Fratelli” ha ben poco del classico gangster movie o mafia movie, che dir si voglia. Non ci troviamo di fronte alla genesi, apice e fine di un impero malavitoso, con traffici illeciti che spostano vagonate di dollari.
Siamo ben lontani dallo spaccato, tanto ironico quanto geniale, di “Quei bravi ragazzi” di Scorsese, o dalla saga criminale più famosa del cinema che mi par superfluo citare. Questo improprio gangster movie di Abel Ferrara è il più classico e terribile dramma familiare che si declina col passare dei minuti prestando tante buone facce ai diversi personaggi, con Chris Penn(Pace all’anima sua! divino!)e Vincent Gallo sugli scudi, nel quale i diversi soggetti si muovono autonomamente e inconsapevolmente verso la distruzione. Ray, il fratello più grande, è un uomo freddo e determinato che trova la sua unica ragione di vita nella vendetta per la morte di Johnny. Chez, il fratello mediano, è un uomo apparentemente gioviale e pacioso ma tanto fragile psicologicamente da diventare folle. Johnny, il fratello defunto, è un carattere idealista e ribelle, vicino alle istanze operaie, che non disdegna la bella vita tanto da cacciarsi nei guai. («Quel fanatico di tuo fratello, anarchico e puttaniere!»– « No, no, no… Johnny era comunista.»).  
A queste individualità maschili troviamo come contraltare le donne: le mogli, che rimangono a casa consce dei mariti fedifraghi, forti e unite, razionali ma impotenti e rassegnate davanti alla natura ribelle e ferina dei loro uomini. («Sant’Agnese… è la protettrice della purezza.» – «Tu le sei devota?»– «No, sta lì solo per ricordarmi cosa succede a chi dice di no.»).Su questa spaccatura Ferrara mette in scena il dramma della “Famiglia” per antonomasia, oramai annientata. Posiziona da una parte le positive figure femminili e dall’altra quelle negative torbide e insensate dei suoi personaggi maschili che operano in nome di Dio, seguendo una personale giustizia privata e divina. Appare chiaro a tutti dove risieda il “Giusto e Razionale” di questa storia, ma il fatto è che, lo si voglia o meno, questi rimangono solo ed esclusivamente degli “affari da uomini”… Un po’ come quella porta che, inesorabile, si chiude davanti agli occhi di Kay nel finale di un famoso film… 


*Il riferimento è al film proiettato tra le prime immagini "The Petrified Forest" del 1936 di Archie Mayo, con Bette Davis e un giovane Humphrey Bogart 

Scheda film

Regia: Abel Ferrara
Anno e Nazione: 1996, USA

mercoledì 4 aprile 2012

Bubble


Martha e Kyle sono due operai di una fabbrica di bambole sperduta nell'Ohio, lei è una donna di mezza età non molto avvenente che divide le sue giornate tra la fabbrica e l'accudimento dell'anziano padre, lui è un giovane poco più che ventenne che arrotonda con altri lavori faticosi che si aggiungono a quello in fabbrica. I due sono accomunati da una particolare amicizia, Martha è molto protettiva nei confronti del ragazzo: passa a prenderlo a casa per portarlo a lavoro, con lui passa il tempo della pausa pranzo e si lasciano andare a piccole confidenze tra vecchi amici. Tutto procede piatto e imperturbabile sino all'arrivo di Rose, un ragazza coetanea di Kyle che finisce per recitare il ruolo di terzo incomodo agli occhi apparentemente paciosi di Martha. 
Soderbergh ha ormai consolidato il proprio ruolo di regista mimetico e poliedrico in grado di passare con estrema facilità dalle operazioni a budget infinito con attori strapagati - vedi i tre Ocean's, i due "Che" e l'ultimissimo "Contagion"- al più classico cinema low cost con attori esordienti e tematiche da Sundance. Al di là poi delle preferenze personali è fuor di dubbio che il cinema un pò alternativo a Soderbergh riesce pure bene, e il caso del nostro "Bubble" è emblatico. Una storia molto americana, ma facilmente riproponibile anche in chiave europa e nostrana, che ha per luogo la sterminata provincia industrializzata e alienante fatta "tutta allo stesso modo". Proprio questa "provincia meccanica" si offre come scenario placido e inquietante ai protagonisti della storia, i cui ritmi vitali sono scanditi da quelli delle macchine industriali, privi di colore e spunti di umanità, persi in discussioni sempre piatte a prescindere dal luogo o dalla situazione: la pausa pranzo, la cena davanti alla tivù e persino un'incontro amoroso. 
La presenza del regista seppur minimale si nota tramite l'insistenza di piani larghi per gli interni e larghissimi per gli esterni che danno una continua sensazione di straniamento, come anche la continua riproposizione delle operazioni di lavoro sempre uguali a se stesse. Tutto risulta congeniale a dare quella sensazione generale di oppressione e di meccanizzazione della vita insita nella modernità, gli esseri umani che diventano dei pupazzi(o bambole che dir si voglia) assemblati e messi insieme su una catena di montaggio che finisce per essere l'esistenza stessa. Un sorta di "Tempi moderni" in tempi contemporanei, dove il paesaggio stato d'animo fa un tutt'uno con il fermo immagine sugli occhi cerulei e vuoti di Martha, che esplode di efferata umanità finendo irrimediabilmente fuori dagli ingranaggi della società civile. Tutto molto agghiacciante. 



Scheda film 

Anno e Nazione: 2005, USA 

Adieu 

sabato 3 marzo 2012

The Artist

E' il 1927 e siamo a Hollywood nel pieno della age d'or del cinema muto, George Valentin ne rappresenta la punta di diamante, l'attore più acclamato, un'autentica star, divinizzato dal pubblico e dalla stampa, un pò meno dalla critica, ma che importa! Una personalità enorme che difficilmente divide il palco e la gloria con altri, nelle sue brillanti performance duetta con il fedele e intelligentissimo cagnolino che fa piegare in due gli spettatori con le sue mirabolanti evoluzioni, la fama del celebre attore appare intramontabile. Valentin è (in)felicemente sposato con Doris, un bella e statuaria bionda, ma quando incontra casualmente una sua fan, Peppy Miller, tra i due scocca un'intesa molto profonda e particolare. I due recitano pure insieme, ma l'inattesa piega degli eventi finirà per allontanarli. Solo un paio di anni dopo, siamo nell'annus horribilis 1929, la situazione muta radicalmente con l'avvento del sonoro e le quotazioni di George Valentin crollano. L'inarrestabile macchina mediatica vuole facce "nuove" per un cinema "nuovo", serve "carne fresca" per alimentare l'enorme business cinematografico.
Peppy Miller cavalca l'onda della novità e diventa un mito multimilionario, George Valentin, invece, prova ostinatamente a rilanciare il muto e,complice la Grande Depressione, finisce per rimanere senza un soldo. Finisce in malora e valuta il suicidio.
Strana la storia di "The Artist", che per ironia della sorte passa attraverso gli eventi storici, li riattualizza, creando corrispondenze con l'attualità molto particolari. Un film che probabilmente sarebbe rimasto di nicchia, esaltato solo dalla critica, e invisibile al grande pubblico(impietosi in questo senso i paragoni di incassi tra Italia e USA). Ma, come detto, per ironia della sorte, "The Artist" finisce per essere incensato dall'evento più commerciale e mediatico del cinema mondiale, ovvero la premiazione degli Oscar 2012, evento nel quale pesca ben 5 statuette, tra cui "miglior regia" e "miglior film". Ma qual'è la particolarità di "The Artist"? La particolarità sta nell'essere un film muto, proprio quel muto che nella storia del film viene soppiantato dal sonoro, proprio quel muto che viene estromesso e annientato dal trionfo dei suoni. Una sorta di rovesciamento, di scambio di ruoli, un ritorno alla poeticità dell'espressioni facciali e la mimica corporale, dei cartelli che compaiono improvvisamente con le battute dei protagonisti, accompagnati da un sottofondo musicale espressivo ed incessante, con l'intramontabile bianco e nero e le luci che seguono la logica "smarmellante" di borissiana memoria. Si può fare dietrologia a iosa sul trionfo di un piccolo film muto nella notte più glamour del cinema: ricerca di un'autenticità che nell'era del 3D rischia di perdersi? Un'operazione revival per scongelare vecchie pellicole e accapparrarsi i diritti d'autore? E' davvero un Capolavoro? E' una botta di culo? Chissà! Fatto sta che "The Artist" non passa inosservato, va oltre le ogni illazione e punta dritto al cuore.
La scelta degli attori rasenta la perfezione: il George Valentin di Dujardin nella fisicità ricorda un pò Rodolfo Valentin(o) e un pò Clouseau(i baffetti!) e sulla scena emoziona quando prova a cacciare un urlo disumano che risulta del tutto afono, personificando così l'ineluttabile destino di un'intero movimento cinematografico. Da non dimenticare l'ottima Berenice Bejo che impersona una Penny Miller fuori dagli schemi della classica showgirl anni '20, simpatica, affascinante e mai banale.
"The Artist" era una scommessa rischiosa che Hazanavicius vince a mani basse costruendo un disegno che si compone perfettamente, tra gli attori protagonisti e non(sempre validi Goodman e James Crowell), e una carica di espressività ed emotività ben diluita nei 100 minuti a disposizione, ed in particolare in un finale esaltante. Si, trattasi di Capolavoro. E che importa se è soltanto per una sera, ma "The Artist" si è preso una bella rivincita, storica, quasi epocale(era proprio dal 1929 che un film muto non vinceva l'Oscar), sul cinema ultra tecnologico che da un lato amplia le dimensioni, e dall'altro, come sempre più spesso capita, assottiglia le emozioni.


Scheda film

Regista: Michel Hazanavicius
Anno e Nazione: 2011, Francia
Main Characters: Jean Dujardin, Berenice Bejo, John Goodman

Adieu

venerdì 3 febbraio 2012

Nodo Alla Gola


Si sa che il delitto perfetto non esiste, se poi sulla scena del delitto viene organizzato pure un party casalingo le possibilità di venir scoperti aumentano esponenzialmente. Accade così che Brandon e Philipp, due giovani esponenti dell’alta borghesia, probabilmente accomunati da una tenera amicizia, organizzino una cena apparecchiando il tutto su un baule contenente il corpo dell’amico brutalmente ucciso, senza apparente motivo, qualche ora prima proprio con uno strettissimo nodo alla gola. Tra gli invitati anche i genitori e la fidanzata della vittima. La serata scorre tra verbose discussioni filosofiche, è presente anche un loro caro ex professore, in un contesto del tutto surreale, nell’attesa dell’invitato che non arriverà mai, nonostante fosse molto molto vicino agli invitati stessi..
"Nodo alla gola" è in assoluto una delle prove maggiormente virtuose dal punto di vista tecnico  della filmografia di Hitchcock: costruito su un solo apparente piano sequenza, gli stacchi ci sono e sono circa 6-7 abilmente nascosti tra le pieghe del film, è inoltre la prima prova a colori per il registra britannico.La maiuscola prova dal punto di vista tecnico non si perde nella sola dimensione estetica: geniali movimenti di macchina che indugiano su determinati particolari servono perfettamente al meccanismo classico della suspence, mettendo in secondo piano persino la scena madre. Il risultato però è perfettamente funzionale al significato della pellicola, la storia si declina in maniera sinuosa e continuativa, che col passar dei minuti stringe sempre più una corda ideale(the rope) al collo dei colpevoli sino allo svelamento finale che prorompe proprio come la rumorosa apertura del baule.
Ispirato a una storia vera il delitto descritto perde nel doppiaggio italiano la dimensione di delitto privo di moventi, solo qualche ambiguità è sollevata da eventuali gelosie interpersonali. Un delitto efferato e totalmente immotivato, che vive dell’ebbrezza del momento e del rovesciamento moralistico che stuzzica la vita dei due giovani e annoiati killer, un pò Paul e Peter ante litteram protagonisti di “Funny Games”.Accanto alle figure dei suddetti “killer per caso” spunta quella dell’ex professore che scopre la loro follia, uno straordinario James Stewart, che nel monologo finale mostra tutto il proprio stupore, rabbia ed orrore per aver dato loro i mezzi culturali per giustificare tal delitto: “Può un uomo poter disporre della vita o della morte di un altro?”. Un beffardo e lungimirante occhio sulla storia dell’umanità intera. Capolavoro.


Scheda film

Anno e Nazione: 1948, USA
Main Characters: James StewartJohn DallFarley Granger

Adieu

giovedì 22 dicembre 2011

Kill Me Please

Mi sento cotanto natalizio che ho deciso di parlare di Morte. Già, proprio la morte è l'assoluta protagonista di questa terribilmente nera commedia belga di Olias Barco. In una clinica privata un pò isolata dal mondo l'innovativo dottor Kruger presta un servizio,lautamente pagato, un pò particolare: ai propri pazienti offre la possibilità di passar a miglior vita, togliendo loro il pesante fardello di doversi assumere tal responsabilità. Beffardo però sarà il destino dei protagonisti, in quanto la Morte sopraggiunge ugualmente, ma sarà lei stessa a decidere quando intervenire.
Il tema trattato, per quanto spinoso, non è affatto frutto di fantasie, anzi in tutto il mondo ormai fioriscono le cliniche che offrono la possibilità di ottenere la cosiddetta"morte dolce", pratica inoltre considerata legale in diversi paesi europei. Come ovvio le discussioni riguardo alla questione sono accese, complesse e quantomai noiose, tanto che preferisco parlare di questo "Kill me please" che dal titolo evocativo sottolinea quella necessità di trapasso verso miglior vita che nel film di Barco affligge quella parte di società che, alla fin fine, conduce un'esistenza piuttosto agiata. Non si ha a che fare con malati terminali che aspettano soltanto che gli si stacchi la spina, ma al contrario tutta una serie di malati del benessere afflitti da sofferenze psicologiche(depressioni) che colpiscono subdolamente nel momento in cui questi non riescono più ad adattarsi a una realtà che non si accetta. Così è, tra gli altri, per la cantante lirica che non può più cantare, o per il possidente che non vuole lasciare la propria "roba" al parentame.
Come immersi in un grande e decadente spleen baudelairiano i nostri antieroi non risultano pietosi per le immani sofferenze fisiche ma al contrario buffi e fuori luogo per le loro pretese. Barco li descrive con compiaciuto cinismo giocando sulle loro debolezze e brutture facendo diventare i clienti della clinica dei topi in trappola, isolati dal resto del mondo, che si sbattono su e giù per la villa arrivando persino a sperare che il buon Dio riservi loro un'altra possibilità quando la morte, quella non voluta, si pone a loro cospetto.
Tra situazioni un pò grottesche e raccapriccianti, e perchè no crude, rimane quella sensazione di avere avuto a che fare con un argomento serio reso maledettamente spiazzante per la sua forma. Non si ride fragorosamente ma si sorride con quel retrogusto un pò amaro che si sente quando si guarda a un'umanità arrivata un pò alla frutta.
Con un bianco e nero di maniera, e con qualche passaggio a vuoto nella scrittura, "Kill me please" si propone come un'intelligente e atipica commedia dalle tinte scurissime che segna un altro punto a favore per il recente cinema francofono, tra belgi(?) e francesi, che fa rima con altre commedie di simil fattura, provenienza e cast(quanto spacca Bouli Lanners?!?!) vedi i sorprendenti "Louise-Michel" e "Mammuth".

Link streaming: http://italia-film.com/film-commedia/14926-kill-me-please-subita-2010-streaming-film-videobb.html


Scheda Film

Anno e Nazione: 2010, Belgio - Francia

Adieu

lunedì 5 dicembre 2011

The Walking Dead - II Stagione

*Prima di cominciare la lettura consiglio la visione delle puntate della seconda stagione.

Sfrutto la pausa della seconda stagione di "The Walking Dead" per buttar giù quattro acide sentenze sull'amatissima serie drama/horror zombesca.
Al termine della prima stagione avevamo lasciato i nostri eroi con la bella esplosione del CDC che spazzava via molte delle speranze di trovare una cura alla pandemia che trasforma i morti in non morti. Da lì ricomincia il cammino del gruppo, con direzione Fort Benning, in cerca di nuove possibilità di sopravvivenza. Durante il viaggio, però, una serie di sfortunati eventi(t'oh! c'è da aspettarselo) rallentano di molto il passo: Sophia, la figlia di Carol, si perde tra i boschi(colpa di Rick) e cominciano estenuanti e infruttuose ricerche; Carl il figlio della coppia più scoppiata della terra, Rick - Lori, viene casualmente ferito da un colpo di fucile, e per questo rischia di morire.
Il gruppo è costretto a deviare il percorso verso l'accogliente fattoria di Hershel, il veterinario che proverà la complicata operazione, non prima che Shane e lo sfortunato Otis vadano a prendere gli strumenti necessari. Non mi spingo oltre con la trama in quanto a me personalmente annoia, e soprattutto, come detto sopra, spero che chi sta leggendo abbia già visto le puntate in questione.
Se partiamo dalla fine credo che l'ottima ultima puntata, con pathos e sorpresina compresa, è servita a metter un pò di sporcizia sotto il tappeto, nascondendo quindi parte delle magagne della seconda stagione. Ma niente di nuovo, perchè più o meno sono le stesse magagne che già si notavano nella prima: un'eccessiva lentezza, un'irritante mancanza di azione, e la paura... non la nominiamo neppure!!
Va bene questa sorta di "sociologia della sopravvivenza" che deve essere mostrata e approfondita, ma si sta tirando un pò troppo la corda con dialoghi lunghissimi e sterili che non portano da nessuna parte. E' pur vero che a Darabont non si chiede di fare il Romero di turno, ma un pò di audacia registica servirebbe come il pane in una serie che in ogni caso piace per l'ottima resa visiva e il buon cast.
Quanto al cast, è migliorata sensibilmente la cura dei personaggi, in particolare quelli secondari, che intraprendono percorsi autonomi nella storia. E' il caso del rapporto "particolare" tra l'anziano Dale e la lunatica Andrea, o il simpatico americancoreano Glenn che cade in love con chi non dovrebbe, ma soprattutto Daryl lo scorbutico dal cuore, sotto sotto, buono che si disegna addosso, sempre di più, il ruolo di antieroe.
A proposito di antieroi come non citare Shane, l'anima nera, il vero cinico bastardo della serie, che fa da contraltare negativo allo smunto presunto protagonista Rick, che, appesantito dal fardello di dover mostrare la faccia buona e magnanima di questa strenua lotta per la sopravvivenza, finisce per appiattirsi nel ruolo del felice e cornuto maritino della snervante gatta morta, e sepolta, impersonata da Lori.
Infine viene da chiedersi che fine abbiano fatto i veri protagonisti della storia: i walkers, gli erranti, gli Zombie! Quelli che un tempo erano tra le maschere più interessanti e politicizzate del Cinema horror adesso appaiono soltanto come dei goffi bersagli in movimento, privi di verve, affatto temibili, e semplici comprimari nella serie, più drama che horror, firmata da Frank Darabont.



Scheda Serie Tv

Anno e Nazione: 2011, USA

Adieu

mercoledì 30 novembre 2011

Melancholia

Sarà colpa del fatidico 2012 che si avvicina, sarà che ormai si guarda più allo spread che ai risultati della claudicante Inter di quest'anno, sarà che prima o poi a tutti tocca chiedersi come, quando e perchè finiremo, sarà quindi che in questo deprimente contesto ci sta pure, puntuale come la sveglia al mattino, la tanto attesa sentenza del regista vivente più discusso e discutibile in circolazione: sua nazistà Lars Von Trier. E dico nazistà per il noto e, a mio parere, esilarante siparietto svoltosi a Cannes quando un Von Trier sopra le righe dice di provare una certa empatia per il nazismo e Hitler. Insomma un vero colpo di genio che ingrossa a dismisura l'aura del personaggio creando sgomento generale, con una esterrefatta Kirsten Dunst accanto, e un sacco di giornalisti che non credono di trovarsi lì in quel momento, con cotanta botta di culo.
Nonostante il gustoso antefatto, "Melancholia" si presenta con tutti i crismi della rispettabilità: una storia sulla fine del mondo diretta da un regista che salomonicamente definirei "originale", e un cast di stelle più o meno lucenti(e col meno mi riferisco all'inutile Kiefer Sutherland).
La storia si divide in due capitoli, che portano il nome delle due sorelle protagoniste, Justine e Claire. Il primo capitolo è ambientato in una villa da sogno con campo da golf collegato(ben 18 buche!) dove si svolge il matrimonio della bella Justine, ovvero Kirsten Dunst e le sue tette, che sposa un altrettanto bello, ma poveraccio è pure cornuto, marito. Attorno agli sposi troviamo Claire, la sorella che organizza il tutto, il marito di lei, la madre e il padre di loro, e una gran quantità di emeriti e rispettabili invitati. Il matrimonio non è che poi sia sta gran favola: i rapporti interni alla famiglia sono eufemisticamente fragili e vengono fuori in tutto il loro splendore. Nel secondo capitolo troviamo il momento successivo al matrimonio, quando nella stessa villa le due sorelle e il marito di Claire, con figlio, vivono l'imminente impatto del pianeta Melancholia sulla Terra, con sensazione da "ultima spiaggia" annessa.
Come detto in precedenza in Lars Von Trier c'è tanto di discutibile, sorvolando sul personaggio/regista che si è costruito, anche il suo cinema, che piaccia o no, fa tanto discutere. Di discutibile in "Melancholia" c'è una durata enorme se rapportata ai ritmi da flebo di caffè che il regista danese impone sin dall'intro artificioso mandato in onda a rallentatore, che, per quanto bello a vedersi, tende già a metter a dura prova i nervi di chi guarda.
A questo bisogna aggiungere un primo capitolo verboso e privo di sussulti, nonostante un paio di personaggi teoricamente interessanti come la madre autoritaria interpretata da Charlotte Rampling e il padre godereccio, John Hurt, entrambi fuori forma e mal utilizzati.
Il secondo capitolo invece mostra qualche spunto interessante: il rapporto tra le sorelle cambia con il cambiare delle atmosfere, la lunatica e depressa Justine con la fine imminente trova spunti di serenità e forza, al contrario l'iper controllata Claire(Charlotte Gainsbourg) della prima parte inizia a dare segni di cedimento mentale complice anche un marito che le spara grosse(quell'inutile Sutherland di prima). Come se la pazzia fosse l'unico modo per accettare la morte, anzi la fine di tutto.
Il finale è sicuramente di impatto(in tutti i sensi), che poi Melancholia mi sia piaciuto ancora non so dirlo, e continuo a domandarmelo, di certo mi rimangono sensazioni contrastanti. La lunghezza e i ritmi snervanti non aiutano di certo, ma la lettura della seconda parte mi intriga per l'atmosfera di serenità e rassegnazione creata dall'imminente fine, lontana da ogni isterismo e confusione che il momento potrebbe causare. Proprio nella Fine la grande protagonista torna ad essere la Natura, placida protagonista che accompagna l'umanità verso il proprio destino.



Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, Danimarca - Francia - Germania - Svezia

Adieu

lunedì 21 novembre 2011

Cane Di Paglia

David Sumner è un matematico dai modi affabili e paciosi che insieme alla bella compagna decide di trasferirsi in Cornovaglia, luogo di origine di lei, per poter portare a termine in tutta tranquillità dei complessi e boriosi studi. L'accoglienza nel piccolo centro villico non è però delle migliori tanto che il giovane matematico ben presto finisce per essere schernito a causa delle sue origini Usa e dei modi da "senza palle". Inoltre l'avvenente compagna Amy viene adocchiata da una vecchia fiamma mai esplosa, Tom, che, assunto insieme ad altri compaesani per dei lavori di ristrutturazione nella villa, appare disposto a tutto pur di poterla avere.
I rapporti di coppia dei due nuovi arrivati non vanno poi a gonfie vele perchè lui, in faccende lavorative affaccendato, finisce per trascurare lei, che al contrario maliziosamente coglie le scurrili avances dei (poco)lavoratori del luogo.
Ma come dice un vecchio detto "chi gioca con il fuoco prima o poi si brucia" e così Amy finirà per bruciarsi. David, il nostro inerme "Cane di paglia"non viene a conoscenza dell'accaduto, ma finirà per bruciarsi ugualmente quando dà riparo allo "scemo del villaggio" resosi involontariamente colpevole di un delitto. Il dado a quel punto è tratto, e la violenza divampa.
La vecchia, e maledettamente attuale, pellicola di Peckinpah è un'opera controversa, violenta, sporca, forse misogina, e spiazzante. Tratta dal romanzo "The Siege of Trencher's Farm" di Gordon Williams, che il regista ai tempi definì simpaticamente: "na schifezza".
"Cane di Paglia" è un film costruito sulle ambiguità dell'essere umano, che non descrive eroi, che distorce il classico rape/revenge, che non si sofferma alla sola reazione del "buono" nei confronti dei "cattivi". Questa ambiguità è pienamente rappresentata nelle scene chiave di "Cane di paglia", nel momento in cui lo stupro non è solo efferata violenza ma nasce da un rapporto passionale e consensuale. Così come l'uccisione della giovane ragazza nasce da una condivisione di affetto che, divenuta incontrollabile, si trasforma in violenza.
La stessa Amy è un personaggio che racchiude in se questa ambiguità: una donna forte ed emancipata che, a testa alta, passeggia per le vie del piccolo paese senza reggiseno, provocando gli sguardi laidi dei passanti, ben conscia della sensualità per la quale, in un logica distorta(misogina), subirà lo stupro. Ma Amy non recita soltanto la parte della vittima che invoca l'aiuto dell'amato, anzi prova persino a conciliare la questione valutando l'ennesimo tradimento.
Infine c'è David(Dustin Hoffman, basti solo questo), codardo sino al midollo, che ad un certo punto scatena tutta la sua furia cieca e deviata, come la vista con le lenti degli occhiali in frantumi, per difendere un assassino, ovvero il motivo "sbagliato" al posto di quello "giusto".
Ecco che qui sta la grandezza di Peckinpah che gioca con l'etica del buono e cattivo, del bene e del male, senza lasciare che l'empatia dello spettatore si schieri con l'uno o con l'altro, in modo che si senta la presenza di un errore, un passaggio saltato, un'anomalia di pensiero. Questa anomalia va oltre il pessimistico homo homini lupus, questa anomalia sta nel dialogo finale tra David e Henry Niles quando questo dice:"Non conosco la via giusta", e l'altro in maniera rassicurante risponde "Non fa niente". E' quella dell'Uomo che sa di non aver intrapreso la giusta via, ma che non se ne cura affatto.



Scheda Film

Anno e Nazione: 1971, USA

Adieu

lunedì 24 ottobre 2011

Red State

In un tranquilla cittadina americana tre giovani studenti dall'ormonella facile cadono nel trabocchetto di un'appuntamento di fuoco con un'aitante milf che promette loro di soddisfarli in gruppo. Dietro l'appuntamento bluff si nasconde una setta religiosa cristiana che si prende un pò troppo sul serio, tanto da voler uccidere i peccaminosi adolescenti. In seguito, più per casualità che per volontà( e dico casualità perchè lo stacco è un pò forzoso), un nucleo dell'FBI si ritrova ad assediare la casa degli orrori della famiglia Cooper, guidato da un generoso John Goodman(sempre bravo, invecchiato e dimagrito) che, tra molti dilemmi, deve far fronte alla richiesta dei suoi capi di rastrellare e uccidere tutti.
Prima di esprimere giudizi(sono qui per questo) bisogna fare un pò di ordine per orientarsi meglio. Kevin Smith si cimenta, a occhio pensoper la prima volta, in un genere assolutamente lontano dalla commedia, dove, dall'arciconosciuto "Clerks"(&figli) in poi, ha recitato un ruolo da capoccia. Parlavo proprio di genere in quanto "Red State" è un ibrido tra varie cose con un risultato non facilmente classificabile: horror nella prima parte, seguendo pò il filone torture, in seguito l'azione diventa protagonista tra sparatorie e adrenalinici inseguimenti, con un finale da film impegnato, anzi impegnatissimo, politicamente. Il miscuglio però può disorientare, per questo un pò stupisce di provare empatia verso quelli(la setta religiosa) che prima ti sembravano i "cattivi", e al contrario quelli(la police) che vengono per salvare baracche e baracchette in seguito si comportano da infami.
Il tutto mi ha disorientato così tanto che non riesco a capire se il film di Smith è buono, e in questo influisce soprattutto un ottimo cast con in testa il verboso Michael Parks nella parte de pastore di anime, il già citato Goodman, e la Melissa Leo illuminata dal Signore. Oppure è solo un film molto furbetto, della serie:"Tanto casino, un finale politico per far l'alternativo, e te ne esci pulito pulito."
Ecco magari il vero oggetto del contendere è proprio tutta la parte finale, quella impegnata politicamente per intenderci. Smith utilizza un tema caldo e attuale, da un lato una setta religiosa ultra cristiana, omofoba come poche, che in nome di Dio prende in mano un fucile; dall'altro lo Stato, colui che il fucile lo imbraccia per mestiere, e che ogni tanto(ogni tanto?) la mano se la fa pure scappare. Di mezzo c'è l'America di oggi, quella che vive ancora il trauma dell'11 settembre, quella che ripropone un maccartismoin salsa da terzo millennio. Da che parte stare? Smith, un sincero democratico(ahi!ahi!ahi!), una posizione la prende in quanto la sua è una critica a uno stato rosso(repubblicano), ma ci si domanda: ha per questo ragione? Beh, credo di no. Ma apprezzo il tentativo, adorabile Silent Bob!



Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, USA

Adieu

sabato 22 ottobre 2011

Cose Molto Cattive

"Questo matrimonio s'ha da farsi". La stonata citazione manzoniana ci sta a pennello per descrivere questa amara ed divertente commedia americana di fine anni 90' rimasta un pò nel dimenticatoio.
Fisher, il tranquillo del gruppo, sta per sposarsi con la bella e biondissima Laura, prima però gli amici di una vita lo "costringono" a un addio al celibato che difficilmente potrà dimenticare. Nel gruppo c'è Boyd, la classica testa di cazzo antipatica e casinara, i fratelli Berkow, di origine ebraica ma con ben poco in comune: Adam il lungagnone, integerrimo padre tutto minivan e figlioli, il tarchiato Michael, nevrotico e cocainomane, che, con il silenzioso Moore, formano un cricca nient'affatto raccomandabile.
Partiti per Las Vegas, la città dove tutto è possibile, lì dove vizio e perversione fanno spesso rima, i nostri eroi commettono delle "cose molto cattive" che avranno conseguenze drammaesilaranti.
Il film di Peter Berg è un sulfureo ritratto della middle class americana, morbosamente materialista e disposta a tutto, descritta inizialmente con i tratti della commedia spensierata che finisce per sporcarsi di sangue, tanto sangue, neanche fosse il più efferato tra gli splatter. "Cose molto cattive" a tratti stupisce per cattiveria e situazioni al limite del surreale(il seppellimento-puzzle), per i dialoghi sboccati e le scene paradossali(i deliri ebraici). Supportato da un affiatato e ben approfondito cast di personaggi che ti fa esclamare, inquadratura dopo inquadratura, "si aspetta, quello lo conosco. l'ho visto in quel film..". Ecco non stupitevi se Daniel Stern lo avete visto in "Mamma ho perso l'aereo" e ritorno, accanto a Joe Pesci.
Ma "Cose molto cattive" non è solo una interessante quanto geniale commedia, è qualcosa di più serio anche nella sostanza. Prova a squarciare il velo su una società arida e arrivista, ipocrita e cinica all'invero simile, che fa sorridere tanto e amaramente con gusto.

Quel matrimonio s'ha da farsi e basta, come dissi all'inizio, non importa se qualcuno finirà dentro a un fosso nel deserto, se qualche "piccola" rinuncia in fatto di amici il futuro sposo dovrà farla, e anche per questo non stupisce che poi il personaggio più negativo e sorprendente possa assumere il volto angelico di Cameron Diaz e non, come a prima vista può sembrare, quello furbetto e inaffidabile di Christian Slater. Un finale perfetto, si non lo dico spesso ma è una perfetta conclusione, cala il sipario su una storia assurda tanto quanto familiarmente vicina, che serva da monito!!



Scheda Film
Regia: Peter Berg
Anno e Nazione: 1998, USA

Adieu

giovedì 13 ottobre 2011

Drive

Giuro, rigiuro e spergiuro(lo so che ha senso contrario ma ci sta bene!) che prima di andare a vedere Drive non ho letto niente di niente, dalla trama alle recensioni, niente! Devo ammettere di essere stato molto ansioso di vedere l'ultima fatica di Nicolas Winding Refn, perchè? Non so, non che abbia visto altro della sua filmografia oltre "Bronson", ma il suo cinema mi ha sempre dato l'impressione di piacermi. Insomma andando al sodo, riguardo al mio appuntamento al buio con Drive, dico di esserne rimasto ben soddisfatto. Magari nel mondo c'è chi lo è stato meno: a quanto pare una donna americana, tal Sarah Deming, si è sentita truffata e ingannata dalla pellicola di Refn in quanto << troppo poco simile a "Fast and Furious">>. Considerando che c'è qualcuno che se la passa peggio di me vado un pò a parlare di sto maledetto film.
Il protagonista di Drive non ha un nome, non ha un passato, ma ha un presente piuttosto movimentato: di giorno fa lo stuntman, nei ritagli di tempo lavora in un'officina per macchine da corsa, e di notte presta servizio per dei criminali a cui serve un ottimo autista per fare le rapine. Lo scorrer via delle sue giornate è alienante e ripetitivo, nessun affetto lo attende tra le mura domestiche. L'incontro con una donna sposata però ne cambierà le sorti, e lo spingerà a tentare una rapina dagli esiti tutt'altro che benevoli.
La prima lunga sequenza dell'inseguimento con cui si apre il film credo che abbia fatto sussultare di gioia la signora Deming che tanto bramava di vedere un sequel ideale di "Fast and Furious", gli elementi del classico film d'azione c'erano tutti: la rapina, i malviventi, la polizia, il traffico cittadino, e un fuga da cardiopalma con conclusione beffarda per le forze dell'ordine. Fatto sta che Refn ha solo bluffato con chi si aspettava, come la povera signora, un film tutto inseguimenti e rombi di motore. Anzi il regista fa di più, soprattutto nella prima parte, riducendo al minimo i dialoghi ed insistendo con le inquadrature sull'ottimo protagonista. Se in "Bronson" la violenza veniva alternata a momenti ironici e quasi carnevaleschi, in Drive l'elemento violento tanto caro al regista, seppur non mancando, si alterna a silenzi pause e all'elemento romantico che scorre di sottofondo.
Qualche pecca c'è, come la trama che di certo non fa strabuzzare gli occhi sino a diventare piuttosto prevedibile, nel mancato sviluppo dei personaggi non protagonisti: ahi! che peccato quel Bryan Cranston(Breaking Bad) sottoutilizzato! a salvarsi solo un buon Ron Perlman nella parte di Nino. Rimane in ogni caso tanto buon cinema: oltre alla scena iniziale c'è da vedere e rivedere quella in ascensore come perfetta sintesi di amore e morte, c'è anche Ryan Gogling perfetto protagonista (e Refn è bravo ad esaltarne sempre il ruolo) che cattura l'occhio per la fisicità imponente(di nuovo Bronson) e per quei sorrisi accennati al posto di banali parole.
Infine c'è tanto anni 80', dalla scritta in sovra impressione nei titoli iniziali e di coda sino alle musiche, invadenti e canticchiabili. Non mancano tanti echi di cinema importante dalla pizzeria di Nino che ricorda un pò Spike Lee quando aveva a che fare con gli italiani, e un pò quella di Danny Aiello in "Leon"(Drive/Leon: rifletteteci), ma allargandoci perchè non metter dentro pure "Taxi Driver"(banalissimo!), "Collateral" di Michael Mann per le riprese aeree e le guide notturne, e persino "Grease"(e qui esagero!) nella gitarella con la ragazza e il bambino.
Per concludere, con buona pace per la carissima signora Deming, io non farò causa a Nicolas Winding Refn, anche perchè il finale mi piaciuto, e questo non capita spessissimo, e poi perchè quel finale sapeva tanto di Karma Police...



Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, USA

Adieu

lunedì 10 ottobre 2011

May

Scorrendo a ritroso la filmografia di Lucky McKee fu così che incontrai May, film del 2002 interpretato dalla sua attrice feticcio per eccellenza Angela Bettis.
May è una ragazza timida e schiva che sin dall'infanzia, a causa di una menomazione all'occhio ha incontrato difficoltà di socializzazione, la sua unica amica è Susy la bambola che le fu regalata dai genitori. Adesso May lavora presso una clinica(degli orrori) veterinaria gestita da un approssimativo medico di origine armena, sul posto di lavoro conosce Polly una ragazza sempliciotta e carina con la quale stringe una relazione. Ma la vera ossessione di May è nei confronti di Jeremy, un ragazzo gentile che, almeno inizialmente, sembra ricambiare gli amorosi sensi.
Lucky Mckee conferma di essere un regista "al femminile", come già accaduto in The Woman, e di essere perfettamente a proprio agio nella provincia americana. Dimostra di saper destreggiarsi tra i generi(drammatico e horror) utilizzando il secondo elemento con parsimonia e gusto in un crescendo che va di pari passo alla perversione della protagonista. Il deserto affettivo in cui May vive la propria esistenza ne fomenta la rabbia: le basterebbe soltanto una carezza. Considerata "strana" e "diversa" prova con insistenza a diventare "normale": trovare un ragazzo con cui stare e avere un'amicizia femminile. I suoi tentativi sono però delusi, e quando la bambola Susy cade e la teca si frantuma, non le rimane che "costruirsi" da sé l'oggetto del proprio desiderio. May è la storia di un mostro della provincia, per il quale però non si può non provare una certa empatia. E' una ragazza dai modi delicati e innocenti, non sa neanche dare un bacio, dalla fisicità esile e fragile quanto il suo equilibrio psichico, che prova semplicemente ad essere inclusa in una società fatta di persone non migliori di lei. Un'opposizione resa anche nei colori, il bianco dell'innocenza della pelle di May, che una volta vendicativa, viene "sporcato" dal rosso peccaminoso del rossetto, come il sangue che contamina la bianca pozza di latte in una delle scene più interessanti del film.
Grande centralità, infine, ha l'elemento visivo, e l'occhio come strumento per vedere: la benda che le copre l'occhio sinistro oltre alla vista le impedisce un'infanzia felice; gli occhi degli altri sono lo strumento dell'esclusione sociale di May; l'occhio, infine, è l'elemento mancante della sua creatura che ne giustifica l'insano gesto.

Anno e Nazione: 2002, USA

Adieu

venerdì 7 ottobre 2011

Barton Fink - E' Successo A Hollywood

America anni 40'. Barton Fink è un commediografo di origine ebraica che miete successi di pubblico a New York con argute descrizioni dei bassi ceti sociali, dopo qualche resistenza accetta la chiamata losangelina di Hollywood, per scrivere un film sul wrestling. Un'autentica prova del fuoco per il salto di qualità nel mondo del cinema.
Appena giunto in città viene alloggiato all'Earle Hotel, un vecchio e cadente albergo che dal lusso ostentato e fuori moda mostra di aver vissuto tempi migliori. Accolto da un vispo Steve Buscemi gli viene assegnata la camera nella quale dovrà vivere durante tutto il suo soggiorno. Sin da subito Fink incontra una serie difficoltà nella scrittura del soggetto che gli è stato assegnato, nel mentre stringe amicizia con l'elemento disturbante, ovvero il rumoroso vicino di camera Charlie Meadows, un nerboruto e impiccione assicuratore che tra mille chiacchiere prova goffamente ad insegnargli le mosse del wrestling.
Fink inizia a conoscere anche il mondo di Hollywood che, venuto via il sipario, gli appare corrotto, meschino e in crisi idee, soprattutto dopo il deludente incontro con il romanziere Mayhew, da lui sino ad allora considerato un genio. Al contrario è piacevolmente sorpreso dalla segretaria/amante di quest'ultimo, tale incontro però cambierà del tutto il senso del suo soggiorno nella città degli angeli.
Il cinema dei Coen si è capito non essere mai banale, in questo caso è addirittura spiazzante. Quella che appare inizialmente come una classica commedia, umoristicamente mai banale, nel suo divenire muta pelle, aumenta l'accezione grottesca, per arrivare ad un finale tragico e al tempo stesso surreale. E' questo il mondo dei Coen costruito sulle immagini e le interpretazioni perfette, che racconta in modo originale un'America che fu, bigotta e antisemita(si, ci risiamo!), e una Hollywood, mecca del cinema, affascinante e spietata.
Il cast è Coeaniano per eccellenza con un John Turturro qui pericolosamente al confine tra eroe e antieroe, schiacciato dalla pressione di dover scrivere un soggetto affatto interessante che finisce per bloccarlo e mandarlo in crisi. Al suo fianco troviamo un Goodman straripante, sudante e trasudante come le liquide pareti dell'albergo, e alla fine dei giochi pure folle.
Ci sono poi i tanti mestieranti della compagnia come Steve Buscemi, sottoutilizzato, Jon Polito(L'uomo che non c'era) e il gracidante Michael Lerner.
Descrivere con esattezza i passaggi di Barton Fink ne banalizzerebbe la natura: si tratta di un film fatto di momenti, umori e ambientazioni. L'albergo è un luogo tetro, umido, caldo e infestato dalle zanzare, abitato da molte persone, lo si intuisce, che non scorgiamo, ma ne sentiamo rumori e urla provenire dalle altre stanze. Avvolto dalle fiamme ci appare come un girone infernale, dove in ogni stanza viene espiata un colpa diversa.
L'impressione finale è che si è appena finito di guardare qualcosa di(volutamente) incompiuto, e in questo il finale influisce, che non ha bisogno di spiegazioni aggiuntive. Come davanti ad un'illusione o un sogno, come la spiaggia, il mare e la bella donna della scena finale.. Signori! non siamo mica a Hollywood!




Scheda Film

Anno e Nazione: 1991, USA

Adieu