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martedì 25 febbraio 2014

Her - Lei



In una Los Angeles di un futuro piuttosto prossimo Theodore Twombly svolge un mestiere particolare: scrive lettere per conto di persone che non riescono ad esprimere i loro sentimenti verso parenti, coniugi o amici. Nonostante l'innata bravura nel proprio campo lavorativo, Theo è un uomo particolarmente solo e asociale, ha un matrimonio fallito alle spalle e un'enorme ritrosia nel firmare le carte del divorzio alla ex moglie. La sua vita cambierà quando comincia ad utilizzare un sistema operativo parlante dotato di intelligenza artificiale in grado di adattarsi all'interlocutore: quella che è soltanto una voce programmata comincia a plasmarsi e diventa la sua compagna di vita Samantha. Dal regista degli apprezzati Essere John Malkovich e Il ladro di Orchidee ci si aspettava di certo qualcosa di notevole, e Spike Jonze non delude affatto. Her è un film che si basa e prende forma intorno al fattore emozionale, che diventa caratterizzante nei personaggi principali: Theo, il protagonista, è un uomo che ha paura di provare nuove emozioni, e che per questo vive nella convinzione che, anche nel caso ci riprovasse, queste sarebbero sempre inferiori a quelle già vissute.Quando però questi incontra il sistema operativo Samantha, che al contrario non ha mai provato emozioni, riacquista quella voglia di vivere che sembrava irreparabilmente aver perso.
"Io sono tua, ma anche non tua"
Samantha vive di stupori primordiali e cresce, si sviluppa, e cambia osservando il mondo intorno a se. Per quanto inizialmente appaia perverso e incredibile, e a volte persino amaramente buffo(come nel caso del tentativo di rapporto sessuale...), il rapporto tra Theo e il suo OS Samantha, con lo scorrer del tempo, nato da uno scarto emozionale, si normalizza e anzi fa emergere problemi e paure(la gelosia, le scelte di vita) che appartengono anche alle coppie "normalmente umane". In Her infatti non c'è una vera e propria riflessione apocalittica sulle tecnologie che sempre più invadono e caratterizzano la nostra vita, siamo insomma lontani dall'ottima critica distopica che caratterizza Black Mirror. Le tecnologie, per quanto invadenti, fanno ormai parte della vita di un futuro, come detto, piuttosto prossimo. Jonze non si chiede se faremo questa "fine", lascia qua e là quale cattivo auspicio ma non una vera e propria critica o messaggio di allarme. Siamo di fronte a una storia d'amore ai tempi dell'ipertecnologia, né più dolce né più amara di quelle che ogni giorno si vivono e si sono vissute.
E' una commedia romantica, a tratti amara, a tratti onirica, che coinvolge e commuove. Straordinario, ancora una volta e semmai ce ne fosse ancora bisogno, un Joaquin Phoenix geniale ed energico che si lancia in dialoghi interattivi esilaranti e in one man show in scena che rimangono a mente. Interessante la prova di Scarlett Johansson che presta la voce al personaggio di Samantha: senza che abbia alcuna presenza fisica il suo tono di voce gutturale e intenso dipinge molto bene il personaggio, anche se temo che possa pesare un po' il "lost in doppiaggio", quindi ne consiglio visione in lingua originale. 
Infine, di molto interessante in Her c'è Los Angeles e le sue ambientazioni. Jonze non mostra un futuro molto cupo, ma gioca molto sui colori di questo: LA ci appare a volte nebbiosa, a volte assolata, con alternanza di colori vivi(negli interni e nei vestiti di Theo) e di quel grigio chiaro molto Hi Tech. Un continuo alternarsi di un languido di fondo e un'esplosione improvvisa di colore, è un po' come le onde emozionali del film, un continuo su e giù che rimane dentro. 

PS: Candidato a diversi Oscar 2014, tra i quali quello per miglior film. 
PPS: Nei titoli di coda si può notare, tra le altre, la dedica al defunto James Gandolfini.





Scheda film

Regia: Spike Jonze 
Anno e Nazione: 2013, USA 
Main Characters: Joaquin PhoenixScarlett JohanssonRooney MaraAmy Adams 

Adieu 

sabato 3 marzo 2012

The Artist

E' il 1927 e siamo a Hollywood nel pieno della age d'or del cinema muto, George Valentin ne rappresenta la punta di diamante, l'attore più acclamato, un'autentica star, divinizzato dal pubblico e dalla stampa, un pò meno dalla critica, ma che importa! Una personalità enorme che difficilmente divide il palco e la gloria con altri, nelle sue brillanti performance duetta con il fedele e intelligentissimo cagnolino che fa piegare in due gli spettatori con le sue mirabolanti evoluzioni, la fama del celebre attore appare intramontabile. Valentin è (in)felicemente sposato con Doris, un bella e statuaria bionda, ma quando incontra casualmente una sua fan, Peppy Miller, tra i due scocca un'intesa molto profonda e particolare. I due recitano pure insieme, ma l'inattesa piega degli eventi finirà per allontanarli. Solo un paio di anni dopo, siamo nell'annus horribilis 1929, la situazione muta radicalmente con l'avvento del sonoro e le quotazioni di George Valentin crollano. L'inarrestabile macchina mediatica vuole facce "nuove" per un cinema "nuovo", serve "carne fresca" per alimentare l'enorme business cinematografico.
Peppy Miller cavalca l'onda della novità e diventa un mito multimilionario, George Valentin, invece, prova ostinatamente a rilanciare il muto e,complice la Grande Depressione, finisce per rimanere senza un soldo. Finisce in malora e valuta il suicidio.
Strana la storia di "The Artist", che per ironia della sorte passa attraverso gli eventi storici, li riattualizza, creando corrispondenze con l'attualità molto particolari. Un film che probabilmente sarebbe rimasto di nicchia, esaltato solo dalla critica, e invisibile al grande pubblico(impietosi in questo senso i paragoni di incassi tra Italia e USA). Ma, come detto, per ironia della sorte, "The Artist" finisce per essere incensato dall'evento più commerciale e mediatico del cinema mondiale, ovvero la premiazione degli Oscar 2012, evento nel quale pesca ben 5 statuette, tra cui "miglior regia" e "miglior film". Ma qual'è la particolarità di "The Artist"? La particolarità sta nell'essere un film muto, proprio quel muto che nella storia del film viene soppiantato dal sonoro, proprio quel muto che viene estromesso e annientato dal trionfo dei suoni. Una sorta di rovesciamento, di scambio di ruoli, un ritorno alla poeticità dell'espressioni facciali e la mimica corporale, dei cartelli che compaiono improvvisamente con le battute dei protagonisti, accompagnati da un sottofondo musicale espressivo ed incessante, con l'intramontabile bianco e nero e le luci che seguono la logica "smarmellante" di borissiana memoria. Si può fare dietrologia a iosa sul trionfo di un piccolo film muto nella notte più glamour del cinema: ricerca di un'autenticità che nell'era del 3D rischia di perdersi? Un'operazione revival per scongelare vecchie pellicole e accapparrarsi i diritti d'autore? E' davvero un Capolavoro? E' una botta di culo? Chissà! Fatto sta che "The Artist" non passa inosservato, va oltre le ogni illazione e punta dritto al cuore.
La scelta degli attori rasenta la perfezione: il George Valentin di Dujardin nella fisicità ricorda un pò Rodolfo Valentin(o) e un pò Clouseau(i baffetti!) e sulla scena emoziona quando prova a cacciare un urlo disumano che risulta del tutto afono, personificando così l'ineluttabile destino di un'intero movimento cinematografico. Da non dimenticare l'ottima Berenice Bejo che impersona una Penny Miller fuori dagli schemi della classica showgirl anni '20, simpatica, affascinante e mai banale.
"The Artist" era una scommessa rischiosa che Hazanavicius vince a mani basse costruendo un disegno che si compone perfettamente, tra gli attori protagonisti e non(sempre validi Goodman e James Crowell), e una carica di espressività ed emotività ben diluita nei 100 minuti a disposizione, ed in particolare in un finale esaltante. Si, trattasi di Capolavoro. E che importa se è soltanto per una sera, ma "The Artist" si è preso una bella rivincita, storica, quasi epocale(era proprio dal 1929 che un film muto non vinceva l'Oscar), sul cinema ultra tecnologico che da un lato amplia le dimensioni, e dall'altro, come sempre più spesso capita, assottiglia le emozioni.


Scheda film

Regista: Michel Hazanavicius
Anno e Nazione: 2011, Francia
Main Characters: Jean Dujardin, Berenice Bejo, John Goodman

Adieu

venerdì 2 marzo 2012

Wall-E


Ammetto di averlo visto con un ritardo importante, la storia è piuttosto nota: siamo nel 2805 e il pianeta Terra è ormai disabitato, l'umanità vaga nello spazio da più di 700 anni dentro una crociera interminabile nell'attesa che la Terra, afflitta da un'inquinamento di proporzioni bibliche, torni ad essere abitabile. Il progetto di smaltimento dei rifiuti terrestri varato centinaia di anni prima è ormai fallito, solo un piccolo robottino dalle fragili braccia meccaniche, di nome Wall-E, è rimasto nel tentativo di riordinare il caos di un paesaggio dalle sembianze venusiane. Attorno a lui solo montagne di rifiuti di ogni genere e una vivace blatta sopravvissuta che gli ronza intorno.
Il simpatico Wall-E, costretto all'isolamento da centinaia di anni, inizia a sviluppare comportamenti molto "umani": rivede in continuazione lo stesso musical"Hello, Dolly!", con infantile curiosità utilizza strumenti quotidiani a lui del tutto sconosciuti, e quando incontra EVE, un robot femmina mandato sulla terra alla ricerca di vita,se ne innamora perdutamente manifestandole un affetto non del tutto ricambiato. La missione di EVE, trovata una forma di vita vegetale, termina per fare ritorno sulla immensa nave da crociera, portando con sé, inconsapevolmente, l'intruso Wall-E, che finirà per cambiare le sorti della nomade umanità.
Il lungometraggio della Pixar "Wall-E" prende forma e si muove con grande dignità tra i pensieri di Asimov e Kubrick, infarcendo il tutto con speranze ambientaliste e anticonsumiste, e persino critiche anticapitaliste in quanto l'umanità è governata da una grande azienda commerciale. Insomma un'opera di intrattenimento per bambini, nella quale di certo non mancano gustosissimi siparietti e buffe situazioni, ma anche il tentativo di rendere "Wall-E" non soltanto quello. Prova a guardare oltre, sino agli adulti, gettando un occhio pessimista, quasi distopico, sull'umanità che siamo e che possibilmente saremo. Questa umanità descritta è pigra e obesa, si muove trangugiando cibo in continuazione sdraiata su una poltrona ambulante, che fila dritta e inesorabile su binari già tracciati, mentre osserva irretita uno schermo olografico.
Gli uomini non si guardano più negli occhi, e non comprendono il significato, tra gli altri, di vocaboli elementari come "terra" e "danzare". Si vive in un contesto alienante fatto di invadenti pubblicità, estremamente rumorose e colorate, attorniati da un esercito di servizievoli robot. Proprio questi ultimi adesso hanno il controllo, ecco Asimov, e nel momento in cui l'uomo prova a riprendere la propria posizione di preminenza si ribellano e si ammutinano guidati da un novello HAL 9000, ecco Kubrick, per far capire che senza loro l'uomo non può andare avanti. Ricordandoci che alla fine è solo una bella favola, l'uomo ottimisticamente riesce a rialzarsi, con la stessa fatica di chi si alza dal divano dopo aver dimenticato il telecomando, e con orgoglio riprende in mano il controllo della propria esistenza. Tra un romanticismo senza tempo, una bella e atipica storia di amore, un citazionismo di buona fattura(oltre ai già citati: siamo proprio sicuri che il robot Wall-E non sia scopiazzato da Corto Circuito?), momenti esilaranti e contenuti non da poco, "Wall-E" va oltre la dimensione del "cartone per bambini" e prova, con buoni risultati, ad aprirci un pò gli occhi.


Scheda film

Regia: Andrew Stanton
Anno e Nazione: 2008, USA

Adieu

venerdì 16 dicembre 2011

Midnight In Paris

L'anno che sta per concludersi non ci ha di certo fatto mancare le grandi firme: da Von Trier a Polanski, passando per Cronenberg, Almodovar, Malick e Ficarra & Picone e qualcun'altro che dimentico, offrendoci risultati un pò alterni con tanto fumo(vero Ficarra & Picone?) e molto poco arrosto. Ma proprio allo scadere ecco che il buon vecchio Allen lascia la zampata giusta, chiaramente non annulla le magagne altrui, però ci riconcilia un pò col buon cinema.
"Midnight in Paris" nasce da un'idea semplice, un sentire comune, un sentimento che nella vita di un essere umano, con maggiore o minore intensità, prima o poi, si finisce per vivere: la nostalgia.
La storia del protagonista Gil Pender, un annoiato sceneggiatore hollywoodiano con velleità da romanziere, è quella di un incontentabile nostalgico che sta per sposare un donna bella e superficiale. Gil sogna di vivere a Parigi in un piccolo attico dalle finestre larghe e passeggiare con la baguette sotto l'ascella(scelta discutibile), lei in maniera molto più netta ha deciso che vivranno in una villa a Malibù, con tanti saluti alle baguette.
Attanagliato da un contesto di scelte di vita non molto allettanti, Gil sente un forte bisogno di evasione e, complice qualche bicchierino di troppo, allo scoccar della mezzanotte, vagando per le vie parigine, si ritrova dentro un locale dove sembra che le lancette del tempo si siano fermate da un pò: gli anni venti del Novecento. Passerà così più e più notti, sempre dopo la mezzanotte, a discutere amabilmente con l'esilarante Dalì e il suo rinoceronte, assistendo alle scenate di gelosia tra i coniugi Fitzgerald, inserendosi nella corsa a tre per il cuore della bella Adriana in lizza con il tracotante Hemingway e l'ossessionante Picasso, facendo leggere le bozze del proprio romanzo a Gertrude Stein, non lesinando consigli sulle rasature ad uno spaesatissimo Bunuel.
Allen ci racconta una favola ambientata in una città che di per sé sa di favola, magica e romantica come non mai, abitata da persone che magari non saranno una favola(perchè i milanesi sono simpatici? e i veronesi? e i napoletani?e palermitani?), rievocando un tempo che sa di favola, l'età dell'oro della cultura europea. Il vecchio Woody nella sua "Operazione Nostalgia"prova a rimanere lucido, fa dire ai suoi personaggi che la nostalgia non è altro che negazione di un presente doloroso, facendo notare come non esista un'età dell'oro in sé e per sé, in quanto negli anni venti si guardava alla Belle Epoque, e durante la Belle Epoque si guardava al Rinascimento, in un continuo portare indietro le lancette del tempo per poter ritrovare il proprio posto ideale nell'esistente. Sceglie la propria età dell'oro e con questa fa i conti, si immedesima, prova a togliere la maschera, ma in realtà la ammira come un bambino che si trova per la prima volta in un luna park.
Passando a cose più umane "Midnight in Paris" restituisce ad Allen l'aura, ultimamente un pò sbiadita, di "Re dei 90 minuti" dopo che gli ultimi salti attraverso le città europee non erano stati poi tutto sto spettacolo. Owen Wilson se la cava più che bene, inizialmente non gli avrei dato due lire, con tanto di movenze alleniane, in un contesto di attori in forma, e sono tanti, come un Adrien Brody/Dalì che in pochissimi minuti si merita la menzione. Ah!! dimenticavo la premiére dame Carlà Brunì! La sua interpretazione è d'impatto, bisogna ammetterlo, lo stesso impatto che ha un moscerino sul parabrezza di un Boeing 747, così tanto per capirci.
Infine piccola nota sulla scena finale tagliata con l'accetta come aveva già notato Frank Manila, ovvero la scena comincia con Wilson che parla alla ragazza senza che questa appaia sulla scena stessa o vi entri successivamente, come se stesse parlando a un muro... Per dovere di cronaca a quanto pare la colpa è del moscerino...



Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, USA

Adieu