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sabato 3 marzo 2012

The Artist

E' il 1927 e siamo a Hollywood nel pieno della age d'or del cinema muto, George Valentin ne rappresenta la punta di diamante, l'attore più acclamato, un'autentica star, divinizzato dal pubblico e dalla stampa, un pò meno dalla critica, ma che importa! Una personalità enorme che difficilmente divide il palco e la gloria con altri, nelle sue brillanti performance duetta con il fedele e intelligentissimo cagnolino che fa piegare in due gli spettatori con le sue mirabolanti evoluzioni, la fama del celebre attore appare intramontabile. Valentin è (in)felicemente sposato con Doris, un bella e statuaria bionda, ma quando incontra casualmente una sua fan, Peppy Miller, tra i due scocca un'intesa molto profonda e particolare. I due recitano pure insieme, ma l'inattesa piega degli eventi finirà per allontanarli. Solo un paio di anni dopo, siamo nell'annus horribilis 1929, la situazione muta radicalmente con l'avvento del sonoro e le quotazioni di George Valentin crollano. L'inarrestabile macchina mediatica vuole facce "nuove" per un cinema "nuovo", serve "carne fresca" per alimentare l'enorme business cinematografico.
Peppy Miller cavalca l'onda della novità e diventa un mito multimilionario, George Valentin, invece, prova ostinatamente a rilanciare il muto e,complice la Grande Depressione, finisce per rimanere senza un soldo. Finisce in malora e valuta il suicidio.
Strana la storia di "The Artist", che per ironia della sorte passa attraverso gli eventi storici, li riattualizza, creando corrispondenze con l'attualità molto particolari. Un film che probabilmente sarebbe rimasto di nicchia, esaltato solo dalla critica, e invisibile al grande pubblico(impietosi in questo senso i paragoni di incassi tra Italia e USA). Ma, come detto, per ironia della sorte, "The Artist" finisce per essere incensato dall'evento più commerciale e mediatico del cinema mondiale, ovvero la premiazione degli Oscar 2012, evento nel quale pesca ben 5 statuette, tra cui "miglior regia" e "miglior film". Ma qual'è la particolarità di "The Artist"? La particolarità sta nell'essere un film muto, proprio quel muto che nella storia del film viene soppiantato dal sonoro, proprio quel muto che viene estromesso e annientato dal trionfo dei suoni. Una sorta di rovesciamento, di scambio di ruoli, un ritorno alla poeticità dell'espressioni facciali e la mimica corporale, dei cartelli che compaiono improvvisamente con le battute dei protagonisti, accompagnati da un sottofondo musicale espressivo ed incessante, con l'intramontabile bianco e nero e le luci che seguono la logica "smarmellante" di borissiana memoria. Si può fare dietrologia a iosa sul trionfo di un piccolo film muto nella notte più glamour del cinema: ricerca di un'autenticità che nell'era del 3D rischia di perdersi? Un'operazione revival per scongelare vecchie pellicole e accapparrarsi i diritti d'autore? E' davvero un Capolavoro? E' una botta di culo? Chissà! Fatto sta che "The Artist" non passa inosservato, va oltre le ogni illazione e punta dritto al cuore.
La scelta degli attori rasenta la perfezione: il George Valentin di Dujardin nella fisicità ricorda un pò Rodolfo Valentin(o) e un pò Clouseau(i baffetti!) e sulla scena emoziona quando prova a cacciare un urlo disumano che risulta del tutto afono, personificando così l'ineluttabile destino di un'intero movimento cinematografico. Da non dimenticare l'ottima Berenice Bejo che impersona una Penny Miller fuori dagli schemi della classica showgirl anni '20, simpatica, affascinante e mai banale.
"The Artist" era una scommessa rischiosa che Hazanavicius vince a mani basse costruendo un disegno che si compone perfettamente, tra gli attori protagonisti e non(sempre validi Goodman e James Crowell), e una carica di espressività ed emotività ben diluita nei 100 minuti a disposizione, ed in particolare in un finale esaltante. Si, trattasi di Capolavoro. E che importa se è soltanto per una sera, ma "The Artist" si è preso una bella rivincita, storica, quasi epocale(era proprio dal 1929 che un film muto non vinceva l'Oscar), sul cinema ultra tecnologico che da un lato amplia le dimensioni, e dall'altro, come sempre più spesso capita, assottiglia le emozioni.


Scheda film

Regista: Michel Hazanavicius
Anno e Nazione: 2011, Francia
Main Characters: Jean Dujardin, Berenice Bejo, John Goodman

Adieu

venerdì 3 febbraio 2012

Nodo Alla Gola


Si sa che il delitto perfetto non esiste, se poi sulla scena del delitto viene organizzato pure un party casalingo le possibilità di venir scoperti aumentano esponenzialmente. Accade così che Brandon e Philipp, due giovani esponenti dell’alta borghesia, probabilmente accomunati da una tenera amicizia, organizzino una cena apparecchiando il tutto su un baule contenente il corpo dell’amico brutalmente ucciso, senza apparente motivo, qualche ora prima proprio con uno strettissimo nodo alla gola. Tra gli invitati anche i genitori e la fidanzata della vittima. La serata scorre tra verbose discussioni filosofiche, è presente anche un loro caro ex professore, in un contesto del tutto surreale, nell’attesa dell’invitato che non arriverà mai, nonostante fosse molto molto vicino agli invitati stessi..
"Nodo alla gola" è in assoluto una delle prove maggiormente virtuose dal punto di vista tecnico  della filmografia di Hitchcock: costruito su un solo apparente piano sequenza, gli stacchi ci sono e sono circa 6-7 abilmente nascosti tra le pieghe del film, è inoltre la prima prova a colori per il registra britannico.La maiuscola prova dal punto di vista tecnico non si perde nella sola dimensione estetica: geniali movimenti di macchina che indugiano su determinati particolari servono perfettamente al meccanismo classico della suspence, mettendo in secondo piano persino la scena madre. Il risultato però è perfettamente funzionale al significato della pellicola, la storia si declina in maniera sinuosa e continuativa, che col passar dei minuti stringe sempre più una corda ideale(the rope) al collo dei colpevoli sino allo svelamento finale che prorompe proprio come la rumorosa apertura del baule.
Ispirato a una storia vera il delitto descritto perde nel doppiaggio italiano la dimensione di delitto privo di moventi, solo qualche ambiguità è sollevata da eventuali gelosie interpersonali. Un delitto efferato e totalmente immotivato, che vive dell’ebbrezza del momento e del rovesciamento moralistico che stuzzica la vita dei due giovani e annoiati killer, un pò Paul e Peter ante litteram protagonisti di “Funny Games”.Accanto alle figure dei suddetti “killer per caso” spunta quella dell’ex professore che scopre la loro follia, uno straordinario James Stewart, che nel monologo finale mostra tutto il proprio stupore, rabbia ed orrore per aver dato loro i mezzi culturali per giustificare tal delitto: “Può un uomo poter disporre della vita o della morte di un altro?”. Un beffardo e lungimirante occhio sulla storia dell’umanità intera. Capolavoro.


Scheda film

Anno e Nazione: 1948, USA
Main Characters: James StewartJohn DallFarley Granger

Adieu

lunedì 21 novembre 2011

Cane Di Paglia

David Sumner è un matematico dai modi affabili e paciosi che insieme alla bella compagna decide di trasferirsi in Cornovaglia, luogo di origine di lei, per poter portare a termine in tutta tranquillità dei complessi e boriosi studi. L'accoglienza nel piccolo centro villico non è però delle migliori tanto che il giovane matematico ben presto finisce per essere schernito a causa delle sue origini Usa e dei modi da "senza palle". Inoltre l'avvenente compagna Amy viene adocchiata da una vecchia fiamma mai esplosa, Tom, che, assunto insieme ad altri compaesani per dei lavori di ristrutturazione nella villa, appare disposto a tutto pur di poterla avere.
I rapporti di coppia dei due nuovi arrivati non vanno poi a gonfie vele perchè lui, in faccende lavorative affaccendato, finisce per trascurare lei, che al contrario maliziosamente coglie le scurrili avances dei (poco)lavoratori del luogo.
Ma come dice un vecchio detto "chi gioca con il fuoco prima o poi si brucia" e così Amy finirà per bruciarsi. David, il nostro inerme "Cane di paglia"non viene a conoscenza dell'accaduto, ma finirà per bruciarsi ugualmente quando dà riparo allo "scemo del villaggio" resosi involontariamente colpevole di un delitto. Il dado a quel punto è tratto, e la violenza divampa.
La vecchia, e maledettamente attuale, pellicola di Peckinpah è un'opera controversa, violenta, sporca, forse misogina, e spiazzante. Tratta dal romanzo "The Siege of Trencher's Farm" di Gordon Williams, che il regista ai tempi definì simpaticamente: "na schifezza".
"Cane di Paglia" è un film costruito sulle ambiguità dell'essere umano, che non descrive eroi, che distorce il classico rape/revenge, che non si sofferma alla sola reazione del "buono" nei confronti dei "cattivi". Questa ambiguità è pienamente rappresentata nelle scene chiave di "Cane di paglia", nel momento in cui lo stupro non è solo efferata violenza ma nasce da un rapporto passionale e consensuale. Così come l'uccisione della giovane ragazza nasce da una condivisione di affetto che, divenuta incontrollabile, si trasforma in violenza.
La stessa Amy è un personaggio che racchiude in se questa ambiguità: una donna forte ed emancipata che, a testa alta, passeggia per le vie del piccolo paese senza reggiseno, provocando gli sguardi laidi dei passanti, ben conscia della sensualità per la quale, in un logica distorta(misogina), subirà lo stupro. Ma Amy non recita soltanto la parte della vittima che invoca l'aiuto dell'amato, anzi prova persino a conciliare la questione valutando l'ennesimo tradimento.
Infine c'è David(Dustin Hoffman, basti solo questo), codardo sino al midollo, che ad un certo punto scatena tutta la sua furia cieca e deviata, come la vista con le lenti degli occhiali in frantumi, per difendere un assassino, ovvero il motivo "sbagliato" al posto di quello "giusto".
Ecco che qui sta la grandezza di Peckinpah che gioca con l'etica del buono e cattivo, del bene e del male, senza lasciare che l'empatia dello spettatore si schieri con l'uno o con l'altro, in modo che si senta la presenza di un errore, un passaggio saltato, un'anomalia di pensiero. Questa anomalia va oltre il pessimistico homo homini lupus, questa anomalia sta nel dialogo finale tra David e Henry Niles quando questo dice:"Non conosco la via giusta", e l'altro in maniera rassicurante risponde "Non fa niente". E' quella dell'Uomo che sa di non aver intrapreso la giusta via, ma che non se ne cura affatto.



Scheda Film

Anno e Nazione: 1971, USA

Adieu

mercoledì 5 ottobre 2011

Rosemary's Baby

Rosemary e Guy formano una giovane coppia di sposi appena trasferitasi in un antico palazzo dall'aria un pò sinistra, proprio in centro a New York.Vengono calorosamente accolti dai due anziani vicini, Minnie e Roman, lei buffa e impicciona e lui "..con le orecchie perforate e gli occhi perforanti..". I rapporti col vicinato si stringono sempre più, la carriera da attore di Guy, sin lì deficitaria, prende un'improvvisa impennata, e al tempo stesso Rosemary rimane incinta. Non si tratterà di una coincidenza ma di un patto col diavolo stretto dal marito per ottenere fama e successo.
In uno dei suoi rari inserimenti nel cinema horror Roman Polanski firma uno dei capolavori assoluti del genere, che lo pone tra i pionieri del sottogenere satanista. Rosemary's baby è un horror gotico, claustrofobico e onirico che turba per le ambientazioni opprimenti piuttosto che per le immagini cruente. Racconta l'incubo vissuto da Rosemary, una Mia Farrow emaciata nell'aspetto ma mai doma, da più parti congiurata, segretamente drogata e stretta in una terribile morsa per la responsabilità di portare in grembo il figlio di Satana. La setta satanica che la attanaglia è fatta di famiglie agiate di professionisti, un pò simpatici nonni e un pò stregoni. A riguardo perfette risultano le interpretazioni di Ruth Gordon, nella parte di Minnie, ruolo che le fece guadagnare un oscar, e del marito Sidney Blackmer.
Il satanismo proposto nella pellicola di Polanski non è una forma di male lontana nel tempo e nello spazio, figlia di una superstizione ancestrale, ma al contrario è una presenza vicina e vitale, che si nutre e cerca di proliferare nella grande mela, il cuore del mondo occidentale, come suggerito dalla poetica scena finale divisa tra la rassegnazione e l'istinto di madre.
Già in questa pellicola troviamo elementi che il regista franco-polacco successivamente riprenderà in altre sue opere, mi viene in mente soprattutto il thriller psicologico "L'inquilino del terzo piano" per l'utilizzazione dell'elemento gotico costituito dal palazzo e l'atmosfera cospirante creata dai vicini di casa.
Infine Rosemary's baby è anche il più classico dei film maledetti: la pellicola ha indissolubilmente legato la figura del regista e il tema trattato alla cronaca giornalistica. Il 9 Agosto del 1969, pochi mesi dopo l'uscita del film, Sharon Tate, moglie di Polanski e incinta di 8 mesi, perse la vita nella cosiddetta "Strage di Bel Air", vittima di un macabro rito satanico commissionato da Charles Manson.


"Dio è morto e solo Satana vive nel mondo"




Scheda Film

Anno e Nazione: 1968, USA

Adieu

lunedì 3 ottobre 2011

Breaking Bad

Sul fatto che il livello qualitativo delle serie Tv non abbia più nulla da invidiare a quello del classico film credo che siano rimasti pochi dubbi. Non a caso un numero sempre maggiore di ottimi registi, sceneggiatori e attori si cimentano in questo genere con straordinari risultati. La possibilità di diluire la storia in un tempo più ampio(le cosiddette stagioni) permette di descrivere ciò che spesso in un film non può essere detto e approfondito.
Vince Gilligan, creatore e produttore della serie(in passato tra le menti di X-Files) sfrutta appieno questo punto di forza, disegnando con cura, attraverso le stagioni, dei personaggi che portano avanti un cammino di cambiamento, partendo appunto da un "Breaking bad", ovvero un punto di rottura.
I protagonisti sono Mr. Walter White e Mr. Jesse Pinkman(vi ricordano per caso, che so, Mr. White eMr. Pink de Le Iene?), il primo è il classico ordinary man professore di chimica in un liceo di Albuquerque nel New Mexico, i suoi modi sono gentili sino al punto di apparire remissivo. Ha da poco superato la soglia dei cinquant'anni quando gli viene diagnosticato un tumore incurabile ai polmoni. Il secondo è invece un giovane spacciatore, ex alunno di Mr. White, caratterialmente fragile e ansioso. Le loro strade si incrociano quando Mr.White decide di sfruttare le proprie conoscenze in fatto di chimica per cucinare una metanfetamina purissima, così da poter guadagnare quei soldi che assicurino sicurezza economica alla famiglia che sta per lasciare. La famiglia di Mr White è composta dalla moglie Skyler,in stato interessante, e dal figlio Walter White Jr. adolescente che, a causa di un handicap, è costretto a camminare con delle stampelle.
Il passaggio da uomo mediocre a cuoco di metanfetamine non è un passaggio semplice ed istantaneo, al contrario è irto di pericoli e situazioni rocambolesche. Mr. White inoltre ha il sorvegliante in casa, deve infatti guardarsi bene dal cognato Hank, agente della DEA, il nucleo antidroga della polizia, e per questo motivo tramite un ingegnoso sistema di bugie e sotterfugi lascia intatta la propria di immagine di insospettabile.
Breaking Bad è essenzialmente una serie drammatica, una storia di rinunce e cattivi sentimenti, un viaggio all'interno del mondo dellameth, la metanfetamina in cristalli, la droga del momento soprattutto negli Stati Uniti, descritto senza tanti fronzoli e moralismi.
Mr. White e Mr. Pink sono degli uomini soli, che per motivi diversi rinunciano a qualcosa di importante, uniti da un rapporto che vive di ambivalenze, momenti di odio e di grande unione tra i due, a volte padre e figlio in altri momenti colleghi e amici.
Gilligan realizza un'ottima descrizione psicologica dei personaggi(e sono tanti..) senza dimenticare una resa visiva molto interessante. La sua è una regia snella e al tempo stesso creativa: molti i timelaps su scorci mozzafiato delle zone desertiche del New Mexico, le soggettive su oggetti e persone, e l'utilizzo di filtri colorati di grande effetto. Propone un cast più che all'altezza: oltre ai due protagonisti(Bryan Cranston su tutti), spiccano RJ Mitte, il White Jr., attore che supera alla grande una prova non facile, e Giancarlo Esposito(scuola Spike Lee), straordinario nell'interpretazione dell'enigmatico Gus Fring.




Scheda Serie Tv

Anno e Nazione: 2008, USA

Adieu

giovedì 8 settembre 2011

A l'interieur

In una Parigi messa a ferro e fuoco dalla rivolta nelle banlieu una giovane fotografa incinta, la cui vita è stata recentemente sconvolta dalla morte del padre del bambino che porta in grembo, sta per passare la notte di Natale sola in casa. A rompere il silenzio e la tranquillità della notte sarà una visita non troppo gradita e amichevole.
A l''interiuer è un gioiellino del genere gore splatter confezionato dai giovani registi francesi Alexandre Bustillo e Julien Maury, nuovi rappresentati del recente cinema horror francese che in questo genere particolare sta vivendo un ottimo periodo di forma. Un vero incubo entre les mursche prende allo stomaco e riempe lo spettatore di interrogativi che giustifichino cotanta efferatezza. La risposta a tutto ciò sta "dentro", come il titolo suggerisce: dentro la casa, luogo che ispira sicurezza e tranquillità quando "fuori" tutto viene sconvolto dalla rivolta, ma soprattutto dentro Sarah(una brava Alysson Paradis, per la cronaca cognata di Johnny Depp) costretta a sfuggire alla furia cieca di una donna(Beatrice Dalle, raggelante negli sguardi) vestita di nero e armata soltanto di una forbice da sarta, ma di lei null'altro si sa.
Nulla viene risparmiato allo sguardo in un tourbillon inesorabile di sangue e carne che però non svilisce la trama di un piccolo capolavoro del genere che riesce a turbare ed appassionare sino all'ultimo istante. A l'interieur scava nella più primordiale tra le paure dell'uomo, ovvero la paura dello straniero, del diverso, dell'estraneo e lo fa giocando su più piani: gli stranieri che si ribellano per le strade francesi come l'estraneo che viene a saldare i conti dentro casa.
Notevole il finale con un scena tra le più poetiche e terribili del cinema horror di mia memoria. Buona visione.


Scheda Film

Anno e Nazione: 2007, Francia

Adieu

venerdì 3 settembre 2010

12


Una giuria formata da dodici giurati si riunisce nella palestra di una scuola per decidere della colpevolezza di un ragazzo ceceno accusato di aver ucciso il padre adottivo, un ufficiale russo, in seguito ad un litigio. Il verdetto appare scontato, una formalità da mettere nero su bianco. Ma il dubbio improvvisamente si insinua nella giuria...
Il film di Nikita Mikhalkov mette in scena un tema tanto caro al cinema, la giustizia, tema di per se spinoso quanto sfaccettato, lasciando ampia libertà al soggettivismo. L'ambientazione entro un unico ambiente, la palestra, con le sole eccezioni di flashback di ottima fattura, fa si che il film diventi un palco di teatro, il parquet ne è un segnale, dove i dodici attori si muovono con coralità inserendo monologhi ed aneddoti mai noiosi ed alcuni siparietti anche divertenti. Gestiti silenziosamente dallo stesso Nikita Mikhalkov che, presidente di giuria e regista del film, lascia spazio ai suoi straordinari attori con una chiosa finale davvero interessante: è meglio imprigionare un innocente che in questo modo avrebbe più chance di allungare la propria vita, oppure è il caso di lasciarlo libero ad un destino dal segno negativo?
Mikhalkov attualizza il remake dello straordinario film di Sidney Lumet "La parola ai giurati", inserendolo nel contesto della Russia di oggi, lacerata dalla questione cecena tra forme di razzismo e tentativi di assimilazione, dove il comunismo ha lasciato un vuoto ideologico difficilmente colmabile. Tra opposti pareri in molti direbbero che è un bene, altri nostalgicamente non sarebbero d'accordo. Per questo motivo lasciamo, salomonicamente, la parola ai giurati.
Particolari da cinema d'autore, un cast inaspettatamente all'altezza ed un tema che non sente l'usura del tempo.
In definitiva: Capolavoro.

Scheda Film

Anno e Nazione: 2007, Russia

Adieu