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mercoledì 30 novembre 2011

Melancholia

Sarà colpa del fatidico 2012 che si avvicina, sarà che ormai si guarda più allo spread che ai risultati della claudicante Inter di quest'anno, sarà che prima o poi a tutti tocca chiedersi come, quando e perchè finiremo, sarà quindi che in questo deprimente contesto ci sta pure, puntuale come la sveglia al mattino, la tanto attesa sentenza del regista vivente più discusso e discutibile in circolazione: sua nazistà Lars Von Trier. E dico nazistà per il noto e, a mio parere, esilarante siparietto svoltosi a Cannes quando un Von Trier sopra le righe dice di provare una certa empatia per il nazismo e Hitler. Insomma un vero colpo di genio che ingrossa a dismisura l'aura del personaggio creando sgomento generale, con una esterrefatta Kirsten Dunst accanto, e un sacco di giornalisti che non credono di trovarsi lì in quel momento, con cotanta botta di culo.
Nonostante il gustoso antefatto, "Melancholia" si presenta con tutti i crismi della rispettabilità: una storia sulla fine del mondo diretta da un regista che salomonicamente definirei "originale", e un cast di stelle più o meno lucenti(e col meno mi riferisco all'inutile Kiefer Sutherland).
La storia si divide in due capitoli, che portano il nome delle due sorelle protagoniste, Justine e Claire. Il primo capitolo è ambientato in una villa da sogno con campo da golf collegato(ben 18 buche!) dove si svolge il matrimonio della bella Justine, ovvero Kirsten Dunst e le sue tette, che sposa un altrettanto bello, ma poveraccio è pure cornuto, marito. Attorno agli sposi troviamo Claire, la sorella che organizza il tutto, il marito di lei, la madre e il padre di loro, e una gran quantità di emeriti e rispettabili invitati. Il matrimonio non è che poi sia sta gran favola: i rapporti interni alla famiglia sono eufemisticamente fragili e vengono fuori in tutto il loro splendore. Nel secondo capitolo troviamo il momento successivo al matrimonio, quando nella stessa villa le due sorelle e il marito di Claire, con figlio, vivono l'imminente impatto del pianeta Melancholia sulla Terra, con sensazione da "ultima spiaggia" annessa.
Come detto in precedenza in Lars Von Trier c'è tanto di discutibile, sorvolando sul personaggio/regista che si è costruito, anche il suo cinema, che piaccia o no, fa tanto discutere. Di discutibile in "Melancholia" c'è una durata enorme se rapportata ai ritmi da flebo di caffè che il regista danese impone sin dall'intro artificioso mandato in onda a rallentatore, che, per quanto bello a vedersi, tende già a metter a dura prova i nervi di chi guarda.
A questo bisogna aggiungere un primo capitolo verboso e privo di sussulti, nonostante un paio di personaggi teoricamente interessanti come la madre autoritaria interpretata da Charlotte Rampling e il padre godereccio, John Hurt, entrambi fuori forma e mal utilizzati.
Il secondo capitolo invece mostra qualche spunto interessante: il rapporto tra le sorelle cambia con il cambiare delle atmosfere, la lunatica e depressa Justine con la fine imminente trova spunti di serenità e forza, al contrario l'iper controllata Claire(Charlotte Gainsbourg) della prima parte inizia a dare segni di cedimento mentale complice anche un marito che le spara grosse(quell'inutile Sutherland di prima). Come se la pazzia fosse l'unico modo per accettare la morte, anzi la fine di tutto.
Il finale è sicuramente di impatto(in tutti i sensi), che poi Melancholia mi sia piaciuto ancora non so dirlo, e continuo a domandarmelo, di certo mi rimangono sensazioni contrastanti. La lunghezza e i ritmi snervanti non aiutano di certo, ma la lettura della seconda parte mi intriga per l'atmosfera di serenità e rassegnazione creata dall'imminente fine, lontana da ogni isterismo e confusione che il momento potrebbe causare. Proprio nella Fine la grande protagonista torna ad essere la Natura, placida protagonista che accompagna l'umanità verso il proprio destino.



Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, Danimarca - Francia - Germania - Svezia

Adieu

venerdì 30 settembre 2011

Carnage

I coniugi Cowan e Longstreet si incontrano per pacificare il litigio avvenuto tra i rispettivi figli , il luogo dell'incontro è la casa dei Longstreet, la parte lesa. Dopo iniziali formalismi e frasi di circostanza la tensione, sin lì solo sottaciuta, esplode in un "carnage" dialettico.
Polanski adatta al grande schermo l'opera teatrale "The God of carnage" di Yasmina Reza, per rimanervi il più fedele possibile ambienta la storia in un unica location, una lussuosa casa newyorkese, con l'utilizzo di soli quattro attori.
Da una parte abbiamo i Cowan: il marito Alan(dio benedica Christoph Waltz!) un indaffarato avvocato Blackberry-dipendente con la risposta sempre pronta e una disillusa ironia, accompagnato da Nancy, un'affascinante Kate Winslet che dietro le buone maniere nasconde un forte risentimento nei confronti del marito. Dall'altra troviamo i Longstreet: la moglie Penelope, interpretata da Jodie Foster(dio l'ammazzi!), è la tipica madre esemplare ed educatrice inflessibile, scrittrice d'arte si interessa anche di cause umanitarie nella sua amata Africa, al suo fianco troviamo Michael, un uomo generoso e genuino nei modi, obbligato dalla moglie a vestire, suo malgrado, da "intellettuale progressista" quando nella vita altro non è che un venditore di maniglie e sciacquoni per il water.
L'oggetto del contendere, ovvero l'eventuale punizione da infliggere al figlio dei Cowan e il chiarimento tra i litiganti, pian piano si diluisce nella storia sino a sparirne investito da continue divagazioni. Sarà poi un accidente accaduto a Nancy Cowan ad eliminare ogni formalismo e far emergere rancori interpersonali non solo tra le due coppie, ma anche all'interno delle coppie stesse, fomentato dai fumi dell'alcol che causano reazioni isteriche ed in alcuni casi persino esilaranti.
Il regista guarda con occhio presente le mille sfaccettature dei personaggi, alternando tagli improvvisi a lunghe sequenze, soprattutto su Waltz alle prese con oceaniche chiamate di lavoro, obbligando gli attori ad una convivenza forzosa sul palco/schermo che riflette quella delle coppie in crisi. Polanski getta un messaggio tanto pessimista, sull'incomunicabilità tra esseri umani e le relazioni di coppia, quanto ottimista sulle generazioni future, ovvero i figli, con un finale forse un pò annacquato e frettoloso ma senza dubbio conciliante.



Scheda Film

Anno e Nazione:2011, Francia, Germania e Polonia

Adieu

martedì 20 settembre 2011

Soul Kitchen

Zinos Kazantzakis è il proprietario del Soul Kitchen un ristorante di Amburgo tirato su in un capannone industriale davanti al quale passa la ferrovia, il cibo non è un granché ma la clientela non è di grandi pretese. Zinos, afflitto da un dolorosissimo mal di schiena, è fidanzato con Nadine, un'antipatica reporter che decide di partire per la Cina in cerca della svolta per la propria carriera, e anche per questo la loro relazione non va a gonfie vele. Attorno al ristorante ruotano poi una serie di personaggi, come l'esilarante barbone Sokrates che occupa una parte del capannone; Ilias, fratello di Zinos, classico criminale da strapazzo appena uscito di galera, due camerieri con velleità artistiche e soprattutto il nuovo cuoco Shayn folle quanto geniale nel dare una svolta culinaria al Soul Kitchen. La sopravvivenza del ristorante verrà messa in pericolo da Neumann, uno spregiudicato affarista ex compagno di scuola di Zinos.
La commedia firmata da Fatih Akin è una gran bella sorpresa, un film vivo e chiassoso, con scene da vedere e rivedere(la scena del funerale e di Kemal lo spaccaossa su tutte!)trascinante sino all'ultimo con un finale a dir poco rocambolesco. Grande protagonista è la città di Amburgo, multietnica e underground, luogo di nascita del regista che le rende onore con una fotografia mai banale.
Notevole anche la scelta degli attori, tra qualche faccia già vista come Moritz Bleibtreu, il Baader del film "La banda Baader-Meinhof", e tante altre new entry come il protagonista Adam Bousdoukos, anche lui nativo di Amburgo, e il cuoco sempre sopra le righe Birol Unel: un miscuglio turco ellenico teutonico davvero esplosivo!
Qualche ingenuità di scrittura qua e là si trova, vedi la seconda parte di film un pò troppo arruffona per via della molte idee che potevano esser sviluppate in maniera migliore, ma rimane davvero tanto per il resto: un film che trasuda amore per la musica, il cibo, per la propria città ma soprattutto per il cinema; una ventata di freschezza in un genere, quale la commedia, che ultimamente per colpire ricorre ad un demenziale molto spesso di pessima fattura.


Scheda Film

Regia: Fatih Akin
Anno e Nazione: 2009, Germania

Adieu