giovedì 27 febbraio 2014

In Bruges


"Andatevene da Londra, deficienti rincoglioniti. Andate a Bruges." - "Non sapevo neanche dove cazzo fosse Bruges. È in Belgio." 
Che il rapporto tra la qualità e la diffusione e conoscenza di un film seguisse spesso percorsi del tutto inspiegabili credo che non sia una novità. Ma che un buon film, oltre alla poca diffusione, subisca anche una storpiatura di senso, credo che sia pure troppo. E' questo il caso di In Bruges che è passato ai più inosservato ma soprattutto sdoganato come commediola demenziale con l'attore "bono" protagonista. Basta dare un'occhiata al trailer per capire cosa abbiamo davanti. 
Davvero un peccato per quello che si può ben definire come un bell'esempio di cinema europeo. Un po' black comedy, un po' thriller, un po' azione, ma soprattutto tante cose belle da vedere, e una in particolare: la fottutissima Bruges.

La città belga è infatti la destinazione un po' anomala che viene assegnata a due killer di professione, Ken e Ray, con misterioso incarico da svolgere. Proprio come la città protagonista, In Bruges si lascia guardare e ci sta poco a stimolare l'empatia verso i protagonisti, tra battute piccate e situazioni rocambolesche, dritto verso un finale sempre più thrilling. Se la battuta sul Tottenham è da intenditori, le interpretazioni del corpulento Brendan Gleeson e del ragazzo problematico Colin Farrell saltano agli occhi senza dimenticare il Ralph Fiennes del finale: antipatico, sboccato, cattivo, leale e semplicemente geniale.
L'esordiente Martin McDonagh gestisce divinamente tre grandi e mezzo(guardando capirete il riferimento al mezzo), miscelando bene l'umorismo britannico con il thriller, ma soprattutto non lascia proprio nulla al caso mettendo su un meccanismo perfetto dove ogni elemento, personaggio e accadimento risulta perfettamente congeniale alla scrittura dell'opera. Tutto fila e tutto torna(ma se proprio bisogna essere pignoli dopo un volo come quello... vabè!)e mentre vai verso il finale inizi a pensare se il periodo ideale in cui visitare Bruges sia la primavera o l'autunno, se i suoi canali in inverno siano a rischio gelata ma che magari è anche il momento più bello in cui andarci tra una nevicata e un cioccolata calda, poi pensi che magari è bella sempre e sei sempre più obnubilato da questa overdose di entusiasmo... e poi, finito tutto, pensi che "almeno in prigione o anche da morto non sarei più stato in questa cazzo di Bruges!"


Scheda film

Regia: Martin McDonagh 
Anno e Nazione: 2008, GB 

Adieu 

mercoledì 26 febbraio 2014

Da Blade Runner a Black Mirror: distopie a confronto

Blade Runner è ambientato nella Los Angeles del 2019, il cui aspetto è profondamente mutato, Scott ci propone una metropoli spettrale e inquietante, con enormi palazzi dove il nuovo si mescola a un barocco di maniera, illuminata da neon colorati con immagini pubblicitarie ridondanti e ossessive che scorrono su schermi al LED, battuta incessantemente da piogge acide e avvolta in fumi bianchi, dove la notte è preponderante sul giorno. Dentro di essa scorre un’umanità frenetica e disordinata e sempre più asiatica che si muove tra macchine(poche) che viaggiano nell’aria e altre(tante) che stancamente provano a muoversi su strade intasate. Chi può permetterselo può migrare verso le colonie extramondo, la stragrande maggioranza invece è destinata a vivere dentro questa grande e sventurata China Town. Il progresso tecnologico ha portato l’Uomo a replicare se stesso sotto forma di replicanti, alcuni di questi sono sfuggiti al suo controllo e un poliziotto dell’unità speciale Blade Runner, Rick Deckard, dovrà trovarli per eliminarli. Scott ci offre una visione di un futuro chiaramente pessimistica dove l’avanzamento tecnologico fa ancora i conti con elementi del passato, dove l’istanza ambientalista è presente: il pianeta è saturo nelle sue risorse ed è sovraffollato, gli animali sono in gran parte estinti e per questo non si possono più mangiare, l’umanità del pianeta terra ha ormai i giorni contanti, una scadenza proprio come quella dei replicanti che essa stessa ha messo al mondo.
L’idea del replicante offre una chiave di lettura interessante, sono prodotti dall’Uomo stesso per servirsene per mansioni scomode o faticose, sono però anche un prototipo di uomo perfetto, sono fisicamente belli ed efficienti, ma soprattutto sono dotati di un cervello intelligente e dotato di ricordi, che gli ingegneri stessi hanno inserito nella loro mente. L’unica discriminante rispetto agli uomini è quella emozionale, infatti i replicanti non sono capaci di gestire le emozioni. Su questo aspetto il regista costruisce la storia, Deckard finisce per innamorarsi di una replicante che dovrebbe egli stesso eliminare, ma possibilmente, tra le diverse letture, è egli stesso un replicante sfuggito al controllo e riprogrammato per eliminare gli altri. I ricordi e le emozioni assumono centralità assoluta nel discorso di Scott: i replicanti sono stati ideati per essere “più umano dell’umano”, come recita lo slogan pubblicitario della Tyrrel Corporation, ma in pratica sono oggetti, dotati di ricordi prefabbricati ma soprattutto di emozioni, in cosa sono quindi diversi dai veri uomini? Possibilmente in nulla, l’Uomo ha creato un suo Altro, forse migliore, e per questo vuole eliminarlo. Il replicante Roy uccide il proprio “padre”, come un novello Edipo, per poter avere la vita. L’empatia è proprio verso i replicanti perché ancora dotati di capacità di emozionarsi in un contesto ambientale degradante e mortifero. La colomba bianca che il replicante Roy lascia volare poco prima di morire è un segno di speranza per la vita dell’umanità.
Vi è quindi nell’impianto distopico del Blade Runner di Scott un barlume di positività, una luce fioca in fondo al tunnel: nonostante l’Uomo abbia fallito ha prodotto un altro sé che sembra potersi regalare una seconda possibilità.  
Vista la centralità che le emozioni rivestono nel film di Scott ho pensato di confrontare questo elemento con la recente opera di Charlie Brooker.
Black Mirror è una serie tv inglese che ha avuto ampia diffusione presso i canali alternativi del web, rendendola di fatto, in pochissimo tempo, un vero e proprio cult. Il suo sguardo distopico ha per oggetto ogni forma di tecnologia che si trova nella nostra vita quotidiana, quello “specchio nero” che si riferisce agli schermi che sempre di più arredano la vita dell’uomo. Il futuro al quale questa serie si riferisce è più che prossimo, affatto lontano dal presente che viviamo, in alcuni episodi della serie si ha a che fare con tecnologie che sono già ampiamente presenti e diffuse nella quotidianità. Brooker non si spinge più di tanto in là con la fantasia o con le lancette del tempo, ci mostra come i diversi elementi tecnologici, dai social network agli schermi ultrapiatti e i cellulari di ultima generazione, non siano più soltanto degli strumenti della quotidianità ma finiscono per essere un prolungamento della nostra stessa esistenza. I meccanismi di assuefazione e dipendenza dalle tecnologie si instaurano in maniera sempre più subdola ed invisibile nella vita di ogni giorno. L’ideatore di Black Mirror non ha bisogno di dipingere ambientazioni dalle tinte fosche e apocalittiche come quelle di Scott in Blade Runner, anzi al contrario ci mostra una Gran Bretagna(che potrebbe essere qualsiasi altro posto nel mondo) come ogni giorno vediamo il mondo dalla nostra finestra. Le navicelle spaziali ancora non esistono, e le piogge acide di Blade Runner non affliggono l’umanità, ma al contrario tutto è molto normale e banale. Ciò che davvero colpisce e costruisce una immaginario distopico della realtà è la forte mancanza di speranza che l’opera nel suo insieme finisce per offrirci.Ho voluto isolare un episodio particolare di Black Mirror che in maniera ideale ho ricollegato con l’elemento da me analizzato in Blade Runner, ovvero quello emozionale.
Nel terzo episodio della prima stagione di Black Mirror intitolato “The entire history of you” si racconta la storia di una coppia di giovani coniugi appartenenti all’alta borghesia inglese felicemente sposati e con un bambino piccolo. La tranquillità della coppia viene turbata quando il marito scopre un vecchio tradimento della moglie. In questo episodio l’elemento tecnologico presente è quello di un microchip inserito dietro l’orecchio di gran parte degli uomini, questo strumento permette la continua registrazione e immagazzinamento della vita vissuta, e quindi dei ricordi di tutti coloro che lo possiedono. Tramite un piccolo telecomando è possibile rivedere in ogni particolare il ricordo selezionato. L’impatto drammatico dell’elemento tecnologico in questione appare devastante, la continua possibilità di poter rivivere i ricordi belli e positivi priva del tutto i protagonisti dal godimento della vita in divenire, aumentando in essi la smania di controllo sul vissuto della persona che si ha accanto: tutto viene registrato e può essere mandato avanti e indietro, ingrandito e sezionato istante dopo istante all’infinito. Chi non possiede questo chip impiantato dietro l’orecchio è considerato strano e fuori dal mondo. Così il ricordo diventa un oggetto e una merce, che può essere impiantato da una persona a un’altra nella più totale spersonalizzazione del vissuto, proprio come capitava ai replicanti di Blade Runner dotati di ricordi di altre persone e che finivano per considerare facenti parte del proprio vissuto. Sono poi soprattutto le emozioni a svuotarsi del tutto della propria carica distintiva, se per i replicanti erano un richiamo a un cartesiano “provo emozioni quindi sono” nei protagonisti dell’episodio di Black Mirror sono un qualcosa che non ha più senso vivere perché si hanno già dentro la propria testa(o forse proprio hard disk?) e che in qualsiasi momento conviene selezionare e rivivere da lì senza il rischio e il brivido che può offrire la vera vita vissuta. 

Viene da chiedersi se lo scenario che ci propone l’episodio di Black Mirror è così lontano dalla nostra quotidianità. L’uso dei microchip sotto pelle è ampiamente diffuso da anni, in particolare per gli animali domestici. Inoltre la possibilità di immagazzinare una gran quantità di informazioni dentro dispositivi molto piccoli si è altrettanto diffusa e sviluppata. La capacità con la quale Brooker tocca i tasti dolenti del rapporto tra l’uomo e i mezzi tecnologici è a mio avviso davvero stupefacente. Se in Blade Runner era l’impalcatura visiva e ambientale a costruire una distopia terrificante ma al tempo stesso lontana dalla vita di ogni giorno, in Black Mirror è al contrario la quotidianità e normalità dell’ambientazione che crea sgomento e fa venire un forte senso di vertigini nei confronti dell’uso malato e incontrollato dei mezzi tecnologici. 



Filmografia:

- Blade Runner, Ridley Scott, 1982, USA 

- Black Mirror, Charlie Brooker, "The entire history of you", Stagione I Episodio III, 2011, GB 

martedì 25 febbraio 2014

Her - Lei



In una Los Angeles di un futuro piuttosto prossimo Theodore Twombly svolge un mestiere particolare: scrive lettere per conto di persone che non riescono ad esprimere i loro sentimenti verso parenti, coniugi o amici. Nonostante l'innata bravura nel proprio campo lavorativo, Theo è un uomo particolarmente solo e asociale, ha un matrimonio fallito alle spalle e un'enorme ritrosia nel firmare le carte del divorzio alla ex moglie. La sua vita cambierà quando comincia ad utilizzare un sistema operativo parlante dotato di intelligenza artificiale in grado di adattarsi all'interlocutore: quella che è soltanto una voce programmata comincia a plasmarsi e diventa la sua compagna di vita Samantha. Dal regista degli apprezzati Essere John Malkovich e Il ladro di Orchidee ci si aspettava di certo qualcosa di notevole, e Spike Jonze non delude affatto. Her è un film che si basa e prende forma intorno al fattore emozionale, che diventa caratterizzante nei personaggi principali: Theo, il protagonista, è un uomo che ha paura di provare nuove emozioni, e che per questo vive nella convinzione che, anche nel caso ci riprovasse, queste sarebbero sempre inferiori a quelle già vissute.Quando però questi incontra il sistema operativo Samantha, che al contrario non ha mai provato emozioni, riacquista quella voglia di vivere che sembrava irreparabilmente aver perso.
"Io sono tua, ma anche non tua"
Samantha vive di stupori primordiali e cresce, si sviluppa, e cambia osservando il mondo intorno a se. Per quanto inizialmente appaia perverso e incredibile, e a volte persino amaramente buffo(come nel caso del tentativo di rapporto sessuale...), il rapporto tra Theo e il suo OS Samantha, con lo scorrer del tempo, nato da uno scarto emozionale, si normalizza e anzi fa emergere problemi e paure(la gelosia, le scelte di vita) che appartengono anche alle coppie "normalmente umane". In Her infatti non c'è una vera e propria riflessione apocalittica sulle tecnologie che sempre più invadono e caratterizzano la nostra vita, siamo insomma lontani dall'ottima critica distopica che caratterizza Black Mirror. Le tecnologie, per quanto invadenti, fanno ormai parte della vita di un futuro, come detto, piuttosto prossimo. Jonze non si chiede se faremo questa "fine", lascia qua e là quale cattivo auspicio ma non una vera e propria critica o messaggio di allarme. Siamo di fronte a una storia d'amore ai tempi dell'ipertecnologia, né più dolce né più amara di quelle che ogni giorno si vivono e si sono vissute.
E' una commedia romantica, a tratti amara, a tratti onirica, che coinvolge e commuove. Straordinario, ancora una volta e semmai ce ne fosse ancora bisogno, un Joaquin Phoenix geniale ed energico che si lancia in dialoghi interattivi esilaranti e in one man show in scena che rimangono a mente. Interessante la prova di Scarlett Johansson che presta la voce al personaggio di Samantha: senza che abbia alcuna presenza fisica il suo tono di voce gutturale e intenso dipinge molto bene il personaggio, anche se temo che possa pesare un po' il "lost in doppiaggio", quindi ne consiglio visione in lingua originale. 
Infine, di molto interessante in Her c'è Los Angeles e le sue ambientazioni. Jonze non mostra un futuro molto cupo, ma gioca molto sui colori di questo: LA ci appare a volte nebbiosa, a volte assolata, con alternanza di colori vivi(negli interni e nei vestiti di Theo) e di quel grigio chiaro molto Hi Tech. Un continuo alternarsi di un languido di fondo e un'esplosione improvvisa di colore, è un po' come le onde emozionali del film, un continuo su e giù che rimane dentro. 

PS: Candidato a diversi Oscar 2014, tra i quali quello per miglior film. 
PPS: Nei titoli di coda si può notare, tra le altre, la dedica al defunto James Gandolfini.





Scheda film

Regia: Spike Jonze 
Anno e Nazione: 2013, USA 
Main Characters: Joaquin PhoenixScarlett JohanssonRooney MaraAmy Adams 

Adieu