mercoledì 30 novembre 2011

Melancholia

Sarà colpa del fatidico 2012 che si avvicina, sarà che ormai si guarda più allo spread che ai risultati della claudicante Inter di quest'anno, sarà che prima o poi a tutti tocca chiedersi come, quando e perchè finiremo, sarà quindi che in questo deprimente contesto ci sta pure, puntuale come la sveglia al mattino, la tanto attesa sentenza del regista vivente più discusso e discutibile in circolazione: sua nazistà Lars Von Trier. E dico nazistà per il noto e, a mio parere, esilarante siparietto svoltosi a Cannes quando un Von Trier sopra le righe dice di provare una certa empatia per il nazismo e Hitler. Insomma un vero colpo di genio che ingrossa a dismisura l'aura del personaggio creando sgomento generale, con una esterrefatta Kirsten Dunst accanto, e un sacco di giornalisti che non credono di trovarsi lì in quel momento, con cotanta botta di culo.
Nonostante il gustoso antefatto, "Melancholia" si presenta con tutti i crismi della rispettabilità: una storia sulla fine del mondo diretta da un regista che salomonicamente definirei "originale", e un cast di stelle più o meno lucenti(e col meno mi riferisco all'inutile Kiefer Sutherland).
La storia si divide in due capitoli, che portano il nome delle due sorelle protagoniste, Justine e Claire. Il primo capitolo è ambientato in una villa da sogno con campo da golf collegato(ben 18 buche!) dove si svolge il matrimonio della bella Justine, ovvero Kirsten Dunst e le sue tette, che sposa un altrettanto bello, ma poveraccio è pure cornuto, marito. Attorno agli sposi troviamo Claire, la sorella che organizza il tutto, il marito di lei, la madre e il padre di loro, e una gran quantità di emeriti e rispettabili invitati. Il matrimonio non è che poi sia sta gran favola: i rapporti interni alla famiglia sono eufemisticamente fragili e vengono fuori in tutto il loro splendore. Nel secondo capitolo troviamo il momento successivo al matrimonio, quando nella stessa villa le due sorelle e il marito di Claire, con figlio, vivono l'imminente impatto del pianeta Melancholia sulla Terra, con sensazione da "ultima spiaggia" annessa.
Come detto in precedenza in Lars Von Trier c'è tanto di discutibile, sorvolando sul personaggio/regista che si è costruito, anche il suo cinema, che piaccia o no, fa tanto discutere. Di discutibile in "Melancholia" c'è una durata enorme se rapportata ai ritmi da flebo di caffè che il regista danese impone sin dall'intro artificioso mandato in onda a rallentatore, che, per quanto bello a vedersi, tende già a metter a dura prova i nervi di chi guarda.
A questo bisogna aggiungere un primo capitolo verboso e privo di sussulti, nonostante un paio di personaggi teoricamente interessanti come la madre autoritaria interpretata da Charlotte Rampling e il padre godereccio, John Hurt, entrambi fuori forma e mal utilizzati.
Il secondo capitolo invece mostra qualche spunto interessante: il rapporto tra le sorelle cambia con il cambiare delle atmosfere, la lunatica e depressa Justine con la fine imminente trova spunti di serenità e forza, al contrario l'iper controllata Claire(Charlotte Gainsbourg) della prima parte inizia a dare segni di cedimento mentale complice anche un marito che le spara grosse(quell'inutile Sutherland di prima). Come se la pazzia fosse l'unico modo per accettare la morte, anzi la fine di tutto.
Il finale è sicuramente di impatto(in tutti i sensi), che poi Melancholia mi sia piaciuto ancora non so dirlo, e continuo a domandarmelo, di certo mi rimangono sensazioni contrastanti. La lunghezza e i ritmi snervanti non aiutano di certo, ma la lettura della seconda parte mi intriga per l'atmosfera di serenità e rassegnazione creata dall'imminente fine, lontana da ogni isterismo e confusione che il momento potrebbe causare. Proprio nella Fine la grande protagonista torna ad essere la Natura, placida protagonista che accompagna l'umanità verso il proprio destino.



Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, Danimarca - Francia - Germania - Svezia

Adieu

giovedì 24 novembre 2011

Il Marito Perfetto

Nicola e Viola sono una coppia di trentenni che decide di passare qualche giorno in un bel casale di campagna per potersi finalmente rilassare, gettare alle spalle qualche ansia e, magari, pianificare di metter su famiglia. Tra un paesaggio da cartolina, una cena romantica, e un letto ornato con petali di rosa e candele tutto sembra procedere per il meglio... ovvero un bagno di sangue!!
Lucas Pavetto, l'ottimo regista del mediometraggio "Il marito perfetto", presenta così la sua opera:"Vi siete mai soffermati a chiedervi se la persona che avete al vostro fianco è davvero chi pensate che sia? Siete pronti a giurare che conoscete bene quali sono i pensieri e le molle che spingono il comportamento del vostro compagno di vita? E siete sicuri di conoscere anche voi stessi altrettanto bene?"
Per quanto inquietanti siano le domande credo che l'idea di un mondo composto di sole Sandra e Raimondo si possa ritenere superata, non è detto che vada a finire sempre come in "Shining", ma a tutti può capitare di avere Olindo Romano come marito(e pensare che io c'ho la coppia clone come vicini di pianerottolo, vantandomene!)
Comunque sia le vie dell'amore sono infinite, così come le manifestazioni di affetto annesse. E dire che la coppia del film aveva tutte le carte in regola per durare: bella lei, bello lui, un futuro apparentemente roseo, ma qualche scheletro di troppo dentro l'armadio.
Ispirato al cinema francese, per stessa ammissione del regista, in "Il marito perfetto" non mancano echi del buon splatter transalpino degli ultimi anni, su tutti "Alta Tensione" di Alexandre Aja, e qualche flash e atmosfera che ricorda "A l'interieur"(sarà colpa mia che lo rivedo ovunque...).
Il risultato è davvero interessante: 40 minuti tesi e concentratissimi, nessun punto morto nella storia, attori non troppo asini(lei è bona, o quantomeno a me piace), il sangue non manca, i trucchi di scena sono molto old school, la scena da ricordare c'è(il vigilante), e il finale, pur sapendo di già visto, non si rende affatto insopportabile.
Tutto grasso che cola nel cadente contesto dell'horror italiano recente, grazie a una produzione indipendente low budget, che fa ben sperare, e un regista che intelligentemente lavora su un tema attraente senza mandarla troppo per le lunghe. Buona fotografia e cura dei particolari(vero In The Market?) che rendono il tutto molto credibile.
Onore al merito!

Il film è visionabile integralmente aggratis nel sito del regista, insieme ad altri suoi corti e mediometraggi: http://www.lucaspavetto.com/ilmaritoperfetto/


Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, Italia

Adieu

martedì 22 novembre 2011

Il Conte Max

Il cosidetto "Miracolo Italiano" è quella favorevole congiuntura che, dopata dai dollari della ricostruzione post bellica, rese, a partire dagli anni 50', l'Italia una superpotenza economica relegando nel passato i laceranti anni della guerra civile e del regime fascista. L'ascesa economica però, si sa, non sempre coincide con quella sociale: è il caso del giovane edicolante romano Alberto Boccetti che, nonostante un lavoro che procede bene, non riesce ad accontentarsi, e, suggestionato dall'amicizia con il Conte Max Orsini Varaldo, finisce per sognare ad occhi aperti una vita da aggraziato nobile. Così dopo alcune insistenze il simpatico edicolante va a lezione di nobiltà dal decaduto Conte Max, riuscendo persino a buggerare la famiglia passando il capodanno nella mondanissima Cortina al posto della modesta Capracotta.
Gli esiti rocamboleschi fanno parte del classico stile della commedia italiana degli equivoci. Il modesto edicolante si spaccia con bravura per un esimio Conte, viene apprezzato dalla nobiltà, ma ben presto scopre il marcio che sta dietro l'ammaliante patina.
Che dire di una pellicola che si fregia del presenza di due mostri sacri(Sordi e De Sica) del cinema italiano? Beh, direi che forse con una regia un pò più audace sarebbe potuto venir fuori un autentico capolavoro della commedia made in Italy, come altre di quegli anni d'oro.
Peccato davvero, perché un Sordi così è un piacere per gli occhi: istrionico come solo lui sa essere, munito di mimica corporea ipnotica(ah, la gamba che si solleva come un vero nobile farebbe, vince a man bassa) e quel NandoMericonismo fanatico e adorante verso il salto di qualità sociale tanto agognato. Abilissimo nello sdoppiamento Alberto Boccetti/Conte Max apprende con consumata malizia gli insegnamenti del vero Conte Max, un De Sica un un pò stanco ma che regge senza problemi il confronto mostrando classe e signorilità innate, che non hanno bisogno di interpretazioni ricercate.
"Il Conte Max" è una commedia dei buoni sentimenti, che esalta gli umili e critica una nobiltà superficiale e parassitaria, con un happy ending amoroso che concilia e redime il divertente protagonista. La lezioncina che ci dà un ottimo mestierante come Giorgio Bianchi(con la connivenza di Sordi sceneggiatore) è sempre quella: la nobiltà non sta nel sangue ma nell'animo. Diamine! Sarà che preferisco le salse agrodolci!

Scheda Film

Anno e Nazione: 1957, Italia

Adieu

lunedì 21 novembre 2011

Cane Di Paglia

David Sumner è un matematico dai modi affabili e paciosi che insieme alla bella compagna decide di trasferirsi in Cornovaglia, luogo di origine di lei, per poter portare a termine in tutta tranquillità dei complessi e boriosi studi. L'accoglienza nel piccolo centro villico non è però delle migliori tanto che il giovane matematico ben presto finisce per essere schernito a causa delle sue origini Usa e dei modi da "senza palle". Inoltre l'avvenente compagna Amy viene adocchiata da una vecchia fiamma mai esplosa, Tom, che, assunto insieme ad altri compaesani per dei lavori di ristrutturazione nella villa, appare disposto a tutto pur di poterla avere.
I rapporti di coppia dei due nuovi arrivati non vanno poi a gonfie vele perchè lui, in faccende lavorative affaccendato, finisce per trascurare lei, che al contrario maliziosamente coglie le scurrili avances dei (poco)lavoratori del luogo.
Ma come dice un vecchio detto "chi gioca con il fuoco prima o poi si brucia" e così Amy finirà per bruciarsi. David, il nostro inerme "Cane di paglia"non viene a conoscenza dell'accaduto, ma finirà per bruciarsi ugualmente quando dà riparo allo "scemo del villaggio" resosi involontariamente colpevole di un delitto. Il dado a quel punto è tratto, e la violenza divampa.
La vecchia, e maledettamente attuale, pellicola di Peckinpah è un'opera controversa, violenta, sporca, forse misogina, e spiazzante. Tratta dal romanzo "The Siege of Trencher's Farm" di Gordon Williams, che il regista ai tempi definì simpaticamente: "na schifezza".
"Cane di Paglia" è un film costruito sulle ambiguità dell'essere umano, che non descrive eroi, che distorce il classico rape/revenge, che non si sofferma alla sola reazione del "buono" nei confronti dei "cattivi". Questa ambiguità è pienamente rappresentata nelle scene chiave di "Cane di paglia", nel momento in cui lo stupro non è solo efferata violenza ma nasce da un rapporto passionale e consensuale. Così come l'uccisione della giovane ragazza nasce da una condivisione di affetto che, divenuta incontrollabile, si trasforma in violenza.
La stessa Amy è un personaggio che racchiude in se questa ambiguità: una donna forte ed emancipata che, a testa alta, passeggia per le vie del piccolo paese senza reggiseno, provocando gli sguardi laidi dei passanti, ben conscia della sensualità per la quale, in un logica distorta(misogina), subirà lo stupro. Ma Amy non recita soltanto la parte della vittima che invoca l'aiuto dell'amato, anzi prova persino a conciliare la questione valutando l'ennesimo tradimento.
Infine c'è David(Dustin Hoffman, basti solo questo), codardo sino al midollo, che ad un certo punto scatena tutta la sua furia cieca e deviata, come la vista con le lenti degli occhiali in frantumi, per difendere un assassino, ovvero il motivo "sbagliato" al posto di quello "giusto".
Ecco che qui sta la grandezza di Peckinpah che gioca con l'etica del buono e cattivo, del bene e del male, senza lasciare che l'empatia dello spettatore si schieri con l'uno o con l'altro, in modo che si senta la presenza di un errore, un passaggio saltato, un'anomalia di pensiero. Questa anomalia va oltre il pessimistico homo homini lupus, questa anomalia sta nel dialogo finale tra David e Henry Niles quando questo dice:"Non conosco la via giusta", e l'altro in maniera rassicurante risponde "Non fa niente". E' quella dell'Uomo che sa di non aver intrapreso la giusta via, ma che non se ne cura affatto.



Scheda Film

Anno e Nazione: 1971, USA

Adieu

mercoledì 16 novembre 2011

Mother's Day

Tre rapinatori si rifugiano in quella che credono essere la loro casa, uno di loro è ferito e necessità di cure urgenti, ma con somma sorpresa trovano una comitiva di trentenni intenta a dilettarsi in balli e giocate a stecche, ospitati dai coniugi Sohapi(che così tanto happy alla fine non saranno). Per loro la festa di compleanno si trasforma ben presto in un incubo perchè "Alla fine arriva mamma" e niente sarà come prima.
Dal regista di "Saw" II, III, IV.... XLVI ecco un filmetto niente male, un pò thriller, un pò splatter e soprattutto molto interessante.
Ambientato nel bel mezzo dell'arrivo di un uragano la vera tragedia si consuma all'interno delle mura domestiche( fatto già visto in altre occasioni simili tipo "Secuestrados" "A l'interieur" e soci) dove il gruppo di ostaggi viene tenuto a bada, non sempre con le buone, dai figli rapinatori e una mamma che ha gli occhi azzurri e severi dell'ottima Rebecca De Mornay.
Di "Mother's Day" mi hanno colpito un paio di ottime scelte del regista, la prima è legata all'attenta caratterizzazione dei personaggi, a cospetto di un folto gruppo di attori, nel quale spiccano figure femminili notevoli contrapposte a figure maschili deboli e fragili.
Così da un lato la madre è madre con la M maiuscola incarnando in se tutti i lati più estremi, nel bene e nel male, che rievocano tale figura: iperprotettiva, possessiva verso la casa, dolce, rassicurante, intransigente, vero punto di riferimento per i propri figli. A lei si contrappone un'altra donna, la Sohapi, che solo scorrendo il film mostra tutta la sua forza di donna umiliata e ferita, dando così vita ad un appassionante duello rusticano finale che tanto ricorda, nella forma quanto nei concetti, quello straordinario del mio tanto adorato "A l'interieur".
Detto delle donne veniamo, signori miei, ai carissimi uomini. Guardate non voglio dilungarmi più di tanto(come potrei?) in quanto si potrebbe stare a parlare tanto di personalità piagnucolose e insicure(i figli della Madre), fedifraghe e codarde(gli sventurati invitati), ma siccome sono buono dico soltanto di fare molta attenzione al personaggio sosia di De Luigi quando imita Carlo Lucarelli, detto questo siate certi che lui vi darà soddisfazioni!
Altro pezzo di bravura dell'ottimo Bousman è la gestione delle dinamiche interne ai gruppi nel film, cosa che puzza tanto di "Saw". I protagonisti, lontani da ogni pensiero di salvaguardia del gruppo, finiscono per farsi guerra tra di loro, sino a procurarsi da soli la morte, e il regista, con sapiente uso di scene splatter e violenze spesso più psicologiche che fisiche, sottolinea con cupo gusto la ferinità di tali gesti. A tal riguardo gustate con coscienzioso occhio la scena del Bancomat, ne vale la pena davvero.
Scheda Film

Anno e Nazione: 2010, USA

Adieu

lunedì 14 novembre 2011

Wolf Creek

Ecco la più classica trama horror che esista: un gruppo di giovanotti belli e molto spesso maledettamente stupidi si mette in viaggio e beve, si sballa, ride, scherza, se gli va di culo fa pure sesso. Tutto va a gonfie vele sino a che un imprevisto(9 volte su 10 si ferma la macchina) non scombini i piani della truppa viaggiante. Di solito a questo punto i nostri "eroi" finiscono vittime di un efferato serial killer con un passato difficile che si costruisce una maschera(classico slasher) oppure un maniaco sadico, inizialmente dai modi affabili, che si diletta in squartamenti vari(classico splatter). Può anche succedere che i due generi coincidano. La conclusione tipica vede almeno un superstite sopravvivere miracolosamente, ma se siamo fortunati non sopravvive nessuno.
Ricostruendo il tutto nel caso del nostro film ci troviamo in Australia, in una zona desertica, con un gruppo di tre ragazzi inglesi, due ragazze e un ragazzo, che come detto sopra ci danno dentro tra festicciole varie, nasce pure una storia d'amore solo accennata, e dopo aver visitato il cratere di Wolf Creek, originato da un meteorite, rimangono in panne con la loro vettura. I baldanzosi giovanotti vengono aiutati da un caro zotico del luogo che tanto sa di "Mr.Crocodile Dundee", il quale prima li accoglie con modi affabili e dopo qualche ora vuole farli a pezzi, semplice no?
Detto questo se l'unico motivo per vedere "Wolf Creek"
fosse l'originalità della trama sarebbe il caso di andare a vedere "Il Re Leone", cosa che peraltro spero di fare presto.
E dire che il "Wolf Creek" dell'allora esordiente, e tuttora mezzo sconosciuto, Greg McLean un paio di ottime carte le aveva in mano, senza però giocarle al massimo. La prima è senza dubbio il paesaggio che il regista prova a rendere protagonista, in particolar modo nella prima parte quando, con risultati mediocri, mette in mezzo misteri soprannaturali che non ci sono ma che il paesaggio potrebbe suscitare.
L'altra buona carta a disposizione è la credibilità della storia ispirata a fatti realmente accaduti: il riferimento va al serial killer dei backpapers( i nostrani sacco a pelo) Ivan Milat che durante gli anni novanta terrorizzò i paciosi australiani uccidendo un numero imprecisato di turisti. Peccato che la storia vera diventa verosimile, e il risultato pure.
Ciò che rimane è un onesto horror in salsa splatter che rende la pellicola guardabile, con qualche picco di tensione, e le vittime tra le più stupide che io possa ricordare.




"Quello non è un coltello, questo è un coltello!!"

Scheda Film

Anno e Nazione: 2005, Australia
Adieu

giovedì 10 novembre 2011

Zombie Of Mass Destruction

In una tranquilla e ridente cittadina americana la vita scorre serena: il reverendo recita noiose messe, il sindaco conservatore teme la sfida elettorale con una frikkettona pacifista riformista, un ristoratore iraniano con figliola occidentalizzata combatte i pregiudizi sulle sue origini, e un ragazzo gay crede che fare outing agli occhi della madre sia la cosa più complicata al mondo. Ah dimenticavo la family very USA(forse...) guidata da un padre a dir poco sopra le righe.
E fu così l'undicesimo o dodicesimo giorno Dio(o chi per lui) creò le zombies-comedy! Magari si sarà preso il suo tempo ma senza dubbio l'attesa che il Siùr ci ha riservato non è stata affatto vana. "Zombie of Mass Destruction" è l'ennesimo predestinato cult di questo genere ibrido che detto come noi gggiovani "spacca davvero i culi".
Un film che ha pochissimo da invidiare al maximum "L'alba dei morti dementi" e che, a mio avviso, supera il contemporaneo "Zombieland"(non mi hanno convinto alcune cose ma credo che ci tornerò).
L'umorismo messo in scena da Kevin Hamedani, per quanto irriverente, appare verosimile nel descrivere una società americana omofoba e xenofoba come non mai. La lettura seriosa del non morto meno pericoloso dell'umano qui viene rivisitata ironicamente, e ampliata: il contagio accolto come nuovo september eleven è una chicca, come l'esilarante test di americanismo, senza dimenticare la coppia gay sottoposta alla cura di "Arancia Meccanica" per redimersi. Inoltre consiglio vivamente di guardarlo in lingua originale con sottotitoli per poter gustare degli ottimi giochi di parole.
La bravura di Hamedani sta anche nel non occuparsi soltanto di far ridere ma di rendere il tutto credibile, come un vera pellicola horror zombesca che si rispetti. I versamenti di sangue, spappolamenti vari, e inseguimenti adrenalinici non mancano, e hanno quella fattura un pò grezza da vero b-movie del genere.
Eppoi il finale pessimistico e cinico su un'America che, nonostante l'apocalisse, non cambi di una virgola rende il tutto un perfetto stile Romero, a riguardo state attenti alle frikkettona!
Tutto è talmente esplicito che dilungarsi in noiose disquisizioni sulla natura delle critiche che il regista fa alla società americana non renderebbe giustizia ad un lavoro innovativo, fresco, citazionista come piace a me, e maledettamente geniale.



Scheda Film

Anno e Nazione: 2009, USA

Adieu

giovedì 3 novembre 2011

Black Block

Visto che per ora scrivo la tesi e non ho molto tempo per aggiornare il blog, ho deciso che parlerò di qualcosa che ho guardato per scrivere la tesi ma che posso recensire sul blog. Due piccioni...
E' il caso di "Black Block" il documentario che parla di tutto tranne che dei Black Bloc, o perlomeno parla di coloro che furono identificati, a torto, come Black Bloc in modo da giustificare la mattanza avvenuta presso le scuole Diaz e Pascoli, in particolare nella prima, il 21 luglio del 2001 durante il G8 di Genova.
Bachschmidt(utilizzo ogni volta il copia/incolla per riscriverlo) ai tempi del G8 era responsabile della segreteria del Genoa Social Forum, e quindi ha vissuto quei giorni (teoricamente)in prima linea, naturale conseguenza di ciò è che il suo documentario è un racconto di parte(lo sottolineo perchè ci sono articoli dove ci si stupisce di ciò!). Nel dettaglio "Black Block" è una raccolta di testimonianze di coloro che durante l'irruzione nella Diaz furono presi a manganellate e pestati finendo prima in ospedale, ed in seguito arrestati.
I racconti che emergono da parte dei sette protagonisti, tutti stranieri, sono a tratti ironici(che bravi umoristi gli inglesi) e in altri momenti commossi, ma nulla di melodrammatico per intenderci, gli interventi del regista invece sono ridotti al minimo. Una trasposizione lineare, forse fin troppo, di un argomento che dovrebbe trasudare rabbia, indignazione e voglia di spaccare il mondo. Solo la t-shirt di uno dei testimoni con su scritto ACAB ci ricorda chi si è comportato da vero infame in tutta sta storia.
Inoltre credo che la scelta di utilizzare il titolo provocatorio "Black Block" avrebbe dovuto innescare una maggiore incisività critica, mi dà l'impressione di esser stata una scelta semplicemente furba e persino moralistica, vedi l'inizio con delle immagini delle devastazioni fatte dai veri famigerati Black Bloc.
Come dire: siamo tutti antagonisti, ma ci sono antagonisti più antagonisti che fanno casino, e antagonisti meno antagonisti e più democratici che il casino non lo fanno, e guarda un pò quanto sono bravi! sono tutti professionisti, ambientalisti, giornalisti, bellimbusti, per intenderci la vera brava gente. Ecco bella logica del cazzo(il romano 15 ottobre 2011 docet) pensare a un piano di antagonismo con i buoni brutti e cattivi è da veri limitati.
Insomma una buona occasione persa per strada, di utile rimane solo il libricino allegato al dvd con parte dei verbali dei processi(come se su internet non si trovassero) e solo un ricordo annacquato di uno dei momenti peggiori della recente storia italiana, e non solo.

Per non dimenticare

"Indomita Genova,
Le lacrime di luglio,
Infondere paura come forma di controllo.."

(Fantasma - Linea 77)

Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, Italia

martedì 1 novembre 2011

Vanishig On 7th Street

Un mega black out lascia permanentemente al buio la città di Detroit, piccolo particolare è che tutte le persone rimaste al buio spariscono, misteriosamente risucchiate dalle tenebre. A sopravvivere saranno un proiezionista, una fisioterapista, un reporter tv, un ragazzino di colore e una bambina, tutti loro, al momento del black out, erano vicini a una fonte di luce. Il ristretto gruppo di sopravvissuti si rifugia sulla settima strada, lì dove il generatore di luce di un pub rappresenta l'unico luogo in cui potere sopravvivere.
Brad Anderson sa il fatto suo, credo che ormai ci siano pochi dubbi. Il tema affrontato in"Vanishing on 7th Street" di primo impatto mi è parso un pò fragile e rischioso per essere trasformato in immagini, con il rischio di essere banali o perfino comici, invece la storia funziona eccome: non una goccia di sangue ma tanta angoscia, claustrofobia e ansia, che lasciano sempre alta la soglia della tensione, niente male!
La sindrome da apocalisse si sa che nell'horror funziona(zombie-movies docet), e nel nostro caso è pure ammantata da vecchie superstizioni come la scomparsa dei coloni da Roanoke nel 1587, e dal sole che non sorge più per catapultare l'intera umanità nell'atavico terrore del buio. Proprio il buio innesca un meccanismo di metafore dove la luce è salvifica e la tenebra corruttrice, non luogo in cui le anime rimangono in un limbo eterno.
Gli echi del cinema del regista non mancano, vedi le allucinazioni che ricordano tanto quelle dei protagonisti di "Session 9" o di Trevor Reznik ne "L'uomo senza sonno". Insomma ribaditi i punti forti di Anderson: sempre ottima fotografia fatta di colori tenui, una regia minimale e il sempre verde John Leguizamo(nonostante l'insipido protagonista). Poche cose non convincono appieno: le tenebre che attanagliano i sopravvissuti ricordano, spero involontariamente, quelle di "Ghost"con gli urletti e le sagome nere fluttuanti; le immagini dall'alto sulla città sanno un pò troppo di"28 giorni dopo" e "The Walking Dead", soprattutto il finale a cavallo nella highway deserta. Infine proprio il finale sembra un pò tirato per i capelli e approssimativo, ma, si sa, a me i finali spesso non piacciono!





Scheda Film

Anno e Nazione: 2010, USA

Adieu