martedì 25 ottobre 2011

Kaboom

Che dire, io Gregg Araki lo guardavo con febbrile insistenza nel pieno della mia adolescenza(quindi un paio di ore fa...) perchè divoravo film su film, robe mai viste, e cercavo questi registi fichi, artistoidi, alternativi, quelli che ti fanno dire all'amico:"Sai sto film è bestiale, sti tipi si drogano fanno sesso, poi muoiono, un sacco di citazioni, il diavolo, l'acqua santa..." Funzionava così: da "Doom Generation" e "Ecstasy Generation" a "Kids", con un malato LarryClarkianesimo che mi portava sino a "Ken Park", parenti vicini e lontani come "Spun" e chissà quanti altri che non mi sovvengono. Insomma tutte pellicole più o meno guardabili, con guide introduttive, più o meno conformiste(più!!), sul sesso, le droghe e quant'altro un adolescente non vede l'ora di veder spiattellato su uno schermo.
Col passar del tempo ho ampliato i miei orizzonti culturali e sociali(e meno male!) ma Araki mi è sempre rimasto in testa, come quando vidi il raggelante ed espressivo "Mysterious Skin".
In seguito lo persi un pò di vista, ma lui stesso si era un pò perso, sino a ritrovarlo stasera in "Kaboom". Descriverne la trama risulta un pò confusionario, ma ci provo: siamo in un college(novità!), Smith è un ragazzo gay, o forse anche gay, si fa un pò di flash erotici sul pompatissimo compagno di stanza ma poi finisce a letto con London, una ragazza che incontrata in bagno a una festa. La migliore amica di Smith, Stella, è etero o lesbo non si capisce, di sicuro è vegetariana, ma fa la lesbo con un ragazza un pò schizzatella. Poi c'è... Facciamo così, per sbrigarci, si fa tanto sesso un pò tutti, poi pian piano viene fuori una storia dalle trame piuttosto misteriose, un sorta di mega complotto, e il finale è un casino.
La confusione mi sa che deriva dalla visione fresca fresca, perchè "Kaboom" è, come fa intuire il titolo, una botta, un'esplosione di situazioni irriverenti, ironiche, oniriche, surreali, terrorizzanti. Bello a vedersi, estetizzante sino all'attimo prima del sopportabile, una messa in scena di attori talmente belli, che ti sembrano pure bravi, eccezion va fatta per sua magnificenza James Duval, un patina di colori e luci che fa bene agli occhi. La ragion d'essere del bello finalizzata al bello, chi se ne frega se il significato del film lascia perplessi? Alzi la mano colui che dopo aver visto "Donnie Darko" aveva tutto chiaro in mente! Kaboom è questo: una sbornia, una presa in giro, un flash, prendersi bene, è bel cinema. E per questo amerò sempre quello di Gregg Araki.



From the time we intercepted
Feels more like suicide
See you at the bitter end!

(The Bitter End - Placebo - Final Soundtrack)

Scheda Film

Anno e Nazione: 2010, USA

Adieu

lunedì 24 ottobre 2011

Red State

In un tranquilla cittadina americana tre giovani studenti dall'ormonella facile cadono nel trabocchetto di un'appuntamento di fuoco con un'aitante milf che promette loro di soddisfarli in gruppo. Dietro l'appuntamento bluff si nasconde una setta religiosa cristiana che si prende un pò troppo sul serio, tanto da voler uccidere i peccaminosi adolescenti. In seguito, più per casualità che per volontà( e dico casualità perchè lo stacco è un pò forzoso), un nucleo dell'FBI si ritrova ad assediare la casa degli orrori della famiglia Cooper, guidato da un generoso John Goodman(sempre bravo, invecchiato e dimagrito) che, tra molti dilemmi, deve far fronte alla richiesta dei suoi capi di rastrellare e uccidere tutti.
Prima di esprimere giudizi(sono qui per questo) bisogna fare un pò di ordine per orientarsi meglio. Kevin Smith si cimenta, a occhio pensoper la prima volta, in un genere assolutamente lontano dalla commedia, dove, dall'arciconosciuto "Clerks"(&figli) in poi, ha recitato un ruolo da capoccia. Parlavo proprio di genere in quanto "Red State" è un ibrido tra varie cose con un risultato non facilmente classificabile: horror nella prima parte, seguendo pò il filone torture, in seguito l'azione diventa protagonista tra sparatorie e adrenalinici inseguimenti, con un finale da film impegnato, anzi impegnatissimo, politicamente. Il miscuglio però può disorientare, per questo un pò stupisce di provare empatia verso quelli(la setta religiosa) che prima ti sembravano i "cattivi", e al contrario quelli(la police) che vengono per salvare baracche e baracchette in seguito si comportano da infami.
Il tutto mi ha disorientato così tanto che non riesco a capire se il film di Smith è buono, e in questo influisce soprattutto un ottimo cast con in testa il verboso Michael Parks nella parte de pastore di anime, il già citato Goodman, e la Melissa Leo illuminata dal Signore. Oppure è solo un film molto furbetto, della serie:"Tanto casino, un finale politico per far l'alternativo, e te ne esci pulito pulito."
Ecco magari il vero oggetto del contendere è proprio tutta la parte finale, quella impegnata politicamente per intenderci. Smith utilizza un tema caldo e attuale, da un lato una setta religiosa ultra cristiana, omofoba come poche, che in nome di Dio prende in mano un fucile; dall'altro lo Stato, colui che il fucile lo imbraccia per mestiere, e che ogni tanto(ogni tanto?) la mano se la fa pure scappare. Di mezzo c'è l'America di oggi, quella che vive ancora il trauma dell'11 settembre, quella che ripropone un maccartismoin salsa da terzo millennio. Da che parte stare? Smith, un sincero democratico(ahi!ahi!ahi!), una posizione la prende in quanto la sua è una critica a uno stato rosso(repubblicano), ma ci si domanda: ha per questo ragione? Beh, credo di no. Ma apprezzo il tentativo, adorabile Silent Bob!



Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, USA

Adieu

sabato 22 ottobre 2011

Cose Molto Cattive

"Questo matrimonio s'ha da farsi". La stonata citazione manzoniana ci sta a pennello per descrivere questa amara ed divertente commedia americana di fine anni 90' rimasta un pò nel dimenticatoio.
Fisher, il tranquillo del gruppo, sta per sposarsi con la bella e biondissima Laura, prima però gli amici di una vita lo "costringono" a un addio al celibato che difficilmente potrà dimenticare. Nel gruppo c'è Boyd, la classica testa di cazzo antipatica e casinara, i fratelli Berkow, di origine ebraica ma con ben poco in comune: Adam il lungagnone, integerrimo padre tutto minivan e figlioli, il tarchiato Michael, nevrotico e cocainomane, che, con il silenzioso Moore, formano un cricca nient'affatto raccomandabile.
Partiti per Las Vegas, la città dove tutto è possibile, lì dove vizio e perversione fanno spesso rima, i nostri eroi commettono delle "cose molto cattive" che avranno conseguenze drammaesilaranti.
Il film di Peter Berg è un sulfureo ritratto della middle class americana, morbosamente materialista e disposta a tutto, descritta inizialmente con i tratti della commedia spensierata che finisce per sporcarsi di sangue, tanto sangue, neanche fosse il più efferato tra gli splatter. "Cose molto cattive" a tratti stupisce per cattiveria e situazioni al limite del surreale(il seppellimento-puzzle), per i dialoghi sboccati e le scene paradossali(i deliri ebraici). Supportato da un affiatato e ben approfondito cast di personaggi che ti fa esclamare, inquadratura dopo inquadratura, "si aspetta, quello lo conosco. l'ho visto in quel film..". Ecco non stupitevi se Daniel Stern lo avete visto in "Mamma ho perso l'aereo" e ritorno, accanto a Joe Pesci.
Ma "Cose molto cattive" non è solo una interessante quanto geniale commedia, è qualcosa di più serio anche nella sostanza. Prova a squarciare il velo su una società arida e arrivista, ipocrita e cinica all'invero simile, che fa sorridere tanto e amaramente con gusto.

Quel matrimonio s'ha da farsi e basta, come dissi all'inizio, non importa se qualcuno finirà dentro a un fosso nel deserto, se qualche "piccola" rinuncia in fatto di amici il futuro sposo dovrà farla, e anche per questo non stupisce che poi il personaggio più negativo e sorprendente possa assumere il volto angelico di Cameron Diaz e non, come a prima vista può sembrare, quello furbetto e inaffidabile di Christian Slater. Un finale perfetto, si non lo dico spesso ma è una perfetta conclusione, cala il sipario su una storia assurda tanto quanto familiarmente vicina, che serva da monito!!



Scheda Film
Regia: Peter Berg
Anno e Nazione: 1998, USA

Adieu

venerdì 21 ottobre 2011

L'Alba Dei Morti Viventi

"Quando all'inferno non ci sarà più posto, i morti cammineranno sulla terra!"

Questo mi mancava. Proprio così, non so per quale motivo ma il remake del secondo capitolo della saga dei morti viventi di Romero lo avevo proprio ignorato. Ma siccome il tempo a volte cura anche queste magagne eccomi qui a parlare de "L'alba dei morti viventi" di Zack Snyder.
Riguardo alla trama non voglio tirarla troppo per le lunghe: la solita epidemia trasforma i morti in non-morti affamati di carne umana, e sin qui non ci piove. L'infermiera Ana, dopo esser sfuggita al tentativo di attacco da parte del marito zombie, e dopo una serie di scene piuttosto movimentate, finisce per rifugiarsi in un mega centro commerciale insieme ad un altro gruppo di desperados. Le vaste opportunità di sopravvivenza che può offrire un'ospizio del genere vengono sfruttate dai nuovi inquilini per riuscire a sopravvivere senza grandi problemi. Quando però l'assedio da parte dell'orda di non morti si fa troppo oppressiva non rimane che fuggire ancora una volta.
Per cominciare è giusto che esprima il mio parere sui remake: se non c'è niente di nuovo o di interessante da proporre credo che non ci sia motivo per togliere la quiete ai defunti. Nonostante questo ammetto di aver accolto con favore il fedele remake di "Non aprite quella porta" e l' "Halloween" più personale di Rob Zombie. Il film di Snyder è di quel periodo, e rimane in linea con il genere, non troppo fedele all'originale ma nulla di troppo rivoluzionario.
Siamo lontani dai messaggi anarchici e pessimisti che il vecchio Romero lanciava tramite i suo zombie, sguardi acidi gettati su un'umanità sempre più cieca e massificata. E proprio il grande mall (per dirla inglish) dell'originale di Romero, in cui i sopravvissuti si rifugiavano e i non morti si accalcavano, nel remake di Snyder perde la radicalità simbolica che aveva negli anni 70'.
I tempi sono cambiati, il mall non è più il simbolo del capitalismo massificante, o quantomeno lo è sempre ma in forma annacquata. E siccome adesso siamo nel millennio successivo lo stesso mega centro commerciale diventa il luogo in cui i sopravvissuti, come catapultati in un enorme "The Sims", sperimentano forme di convivenza in tempi di catastrofe, e quindi: si mangia, si dorme, si fa sesso, si litiga, si gioca e si instaurano nuove forme di socialità.
Ecco questa è la particolarità del remake firmato da Snyder, che resosi mestamente conto dell'inutilità di ampliare l'immaginario dei suoi zombie, che corrono come in 28 giorni dopo e sono stupidi come sempre, di converso amplia quello sugli umani alle prese con i non morti. Alla fine il giochino funziona pure abbastanza bene, magari le storielle personali non sono niente di mai visto, ma in particolare la relazione a distanza da tetto a tetto mostra spunti interessanti. Per il resto tutto inizia e finisce come in tanti, quasi tutti, i film del genere, che il regista omaggia con qualche cameo da aficionados, su tutti Tom Savini(storico truccatore di Romero) e Ken Foree(tra i protagonisti dell'originale). Infine piccola citazione per l'intro ma soprattutto per il neonato zombie, una zozzeria che mi è piaciuta tantissimo!!

Scheda Film

Anno e Nazione: 2004, USA

Adieu

domenica 16 ottobre 2011

S1m0ne

"E se sostituissi le bizzose e pretenziose attrici cagne con il prototipo dell'attrice perfetta? Il meglio della Loren, la Garbo, la Hepburn e chi più ne ha ne metta". Questa la riflessione che balza alla mente di Viktor Taransky, un regista ormai sul lastrico alla continua ricerca di quello che possa essere il suo primo grande successo cinematografico. L'opportunità nasce quando un genio folle e sul punto di morte gli propone un programma in grado di creare la sua attrice perfetta. Il nome della celestiale creatura è S1m0ne, e come da titolo, figlia del sistema binario che muove il mondo informatico, il suo successo va oltre ogni limite pensabile e i fan di tutto il mondo impazziscono per qualcosa che semplicemente non c'è.
Andrew Niccol è un regista che mostra una certa confidenza quando si ha a che fare con realtà virtuali e fantascienze umane, vedi la direzione di "GATTACA" all'esordio nel 97, "In Time" ormai in rampa di lancio, e la sua presenza tra gli sceneggiatori di "The Truman Show". In questo contesto "S1m0ne" è una commedia che propone spunti interessanti di riflessione sul divismo e le prospettive del cinema in temi di super tecnologie. Vedere migliaia di persone partecipare deliranti ad un concerto di una star fatta di pixel è uno dei momenti di massima ironia a riguardo. A pensarci bene magari anche un pò drammatico, in quanto S1m0ne è la "morte del reale", come essa stessa di definisce.
In un mondo "usa e getta" l'unica diva che non subirebbe l'usura del tempo e vicissitudini private potrebbe essere solo una S1m0ne. La figura di S1m0ne, eterea celestiale e volutamente poco vera, è per Taransky, un Al Pacino in discreta forma, il pass per il successo ma anche il suo limite più grande, difficile affrancarsi da una star cotanto apprezzata, ancora più difficile sbarazzarsene. Qualsiasi cosa lei faccia, più che altro le fa fare il suo pigmalione, va bene ad un pubblico massificato ormai appiattito, inebetito e del tutto privo di senso critico.
Niccol appare divertito nel giocare con questi temi, e a tratti riesce anche a divertire, costruendo un commedia intelligente, e perchè no, anche profetica sul cinema di domani(e oggi).
Ok, nessun capolavoro in vista, anche qualche pecca per un finale un pò tirato per le orecchie, ma niente male per un regista non molto prolifico, ricordo anche l'ottimo "Lord of War", ma senza dubbio interessante.



Scheda Film

Anno e Nazione: 2002, USA

Adieu

giovedì 13 ottobre 2011

Drive

Giuro, rigiuro e spergiuro(lo so che ha senso contrario ma ci sta bene!) che prima di andare a vedere Drive non ho letto niente di niente, dalla trama alle recensioni, niente! Devo ammettere di essere stato molto ansioso di vedere l'ultima fatica di Nicolas Winding Refn, perchè? Non so, non che abbia visto altro della sua filmografia oltre "Bronson", ma il suo cinema mi ha sempre dato l'impressione di piacermi. Insomma andando al sodo, riguardo al mio appuntamento al buio con Drive, dico di esserne rimasto ben soddisfatto. Magari nel mondo c'è chi lo è stato meno: a quanto pare una donna americana, tal Sarah Deming, si è sentita truffata e ingannata dalla pellicola di Refn in quanto << troppo poco simile a "Fast and Furious">>. Considerando che c'è qualcuno che se la passa peggio di me vado un pò a parlare di sto maledetto film.
Il protagonista di Drive non ha un nome, non ha un passato, ma ha un presente piuttosto movimentato: di giorno fa lo stuntman, nei ritagli di tempo lavora in un'officina per macchine da corsa, e di notte presta servizio per dei criminali a cui serve un ottimo autista per fare le rapine. Lo scorrer via delle sue giornate è alienante e ripetitivo, nessun affetto lo attende tra le mura domestiche. L'incontro con una donna sposata però ne cambierà le sorti, e lo spingerà a tentare una rapina dagli esiti tutt'altro che benevoli.
La prima lunga sequenza dell'inseguimento con cui si apre il film credo che abbia fatto sussultare di gioia la signora Deming che tanto bramava di vedere un sequel ideale di "Fast and Furious", gli elementi del classico film d'azione c'erano tutti: la rapina, i malviventi, la polizia, il traffico cittadino, e un fuga da cardiopalma con conclusione beffarda per le forze dell'ordine. Fatto sta che Refn ha solo bluffato con chi si aspettava, come la povera signora, un film tutto inseguimenti e rombi di motore. Anzi il regista fa di più, soprattutto nella prima parte, riducendo al minimo i dialoghi ed insistendo con le inquadrature sull'ottimo protagonista. Se in "Bronson" la violenza veniva alternata a momenti ironici e quasi carnevaleschi, in Drive l'elemento violento tanto caro al regista, seppur non mancando, si alterna a silenzi pause e all'elemento romantico che scorre di sottofondo.
Qualche pecca c'è, come la trama che di certo non fa strabuzzare gli occhi sino a diventare piuttosto prevedibile, nel mancato sviluppo dei personaggi non protagonisti: ahi! che peccato quel Bryan Cranston(Breaking Bad) sottoutilizzato! a salvarsi solo un buon Ron Perlman nella parte di Nino. Rimane in ogni caso tanto buon cinema: oltre alla scena iniziale c'è da vedere e rivedere quella in ascensore come perfetta sintesi di amore e morte, c'è anche Ryan Gogling perfetto protagonista (e Refn è bravo ad esaltarne sempre il ruolo) che cattura l'occhio per la fisicità imponente(di nuovo Bronson) e per quei sorrisi accennati al posto di banali parole.
Infine c'è tanto anni 80', dalla scritta in sovra impressione nei titoli iniziali e di coda sino alle musiche, invadenti e canticchiabili. Non mancano tanti echi di cinema importante dalla pizzeria di Nino che ricorda un pò Spike Lee quando aveva a che fare con gli italiani, e un pò quella di Danny Aiello in "Leon"(Drive/Leon: rifletteteci), ma allargandoci perchè non metter dentro pure "Taxi Driver"(banalissimo!), "Collateral" di Michael Mann per le riprese aeree e le guide notturne, e persino "Grease"(e qui esagero!) nella gitarella con la ragazza e il bambino.
Per concludere, con buona pace per la carissima signora Deming, io non farò causa a Nicolas Winding Refn, anche perchè il finale mi piaciuto, e questo non capita spessissimo, e poi perchè quel finale sapeva tanto di Karma Police...



Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, USA

Adieu

martedì 11 ottobre 2011

L'Alba Dei Morti Dementi - Shaun Of The Dead

Facendo il verso ad un famoso testo potremmo dire: "L'amore ai tempi degli Zombie", questo è ciò che viene da pensare guardando il film di Edgar Wright "L'alba dei morti dementi"(titolo alquanto stupido, ma in linea con le pessime abitudini italiane!). Per farvi un'idea pensate un pò alla situazione: siete dei quasi trentenni cronicamente immaturi, il vostro migliore, e ancora più immaturo, amico bivacca in casa vostra con la leggiadria di un ippopotamo in uno stagno, la vostra fidanzata al contrario ha la testa fin troppo sulle spalle, e come se non mancasse non accettate il rapporto di vostra madre, vedova, con il severo compagno, e dulcis in fundo lavorate noiosamente in un negozio di elettrodomestici. Detto questo, una sera vi ubriacate, come non mai, per festeggiare il momento in cui siete stati malamente lasciati dalla pretenziosa morosa, ma, piccolo particolare, la mattina successiva è quella dell'apocalisse in cui i morti tornano a vivere e hanno una mostruosa fame di esseri umani. Ah dimenticavo, il protagonista è Shaun!Shaun of the dead!
Ambientare un commedia romantica in un contesto dell'orrore, tra l'altro citando la romeriana saga horror per antonomasia, è un un tentativo ad alto rischio di fallimento. Invece "L'alba dei morti dementi" si è fatto strada nella diffidenza sino a diventare un piccolo cult di questo genere ibrido. Da un lato una grossa mano è stata data dalle parole spese da autorevoli protagonisti, su tutti Romero, senza dimenticare Tarantino e Stephen King. Dall'altro però sarebbe riduttivo considerarlo solo un fenomeno mediatico, perchè il film di Wright ha senza dubbio spessore: è una commedia, lontana dall'arida demenzialità di "Scarie Movie", che da nera/nerissima, in perfetto stile british, vive di momenti horror, con qualche tuffetto qua e là nello splatter. Certo la trama non sarà il massimo dell'originalità: risulta facile capire come va a finire il tutto, con qualche minima sorpresina, ma non era quello che doveva colpire.
Il duo comico, affiatatissimo, Simon Pegg (coautore del film)-Nick Frost poi fa il resto grazie alle idiosincrasie e paranoie del primo e l'esilarante fisicità del secondo. Piccola citazione merita l'uso sapiente e spesso divertente delle canzoni in contesti piuttosto atipici per il cinema horror.
Infine credo che qualche parola vada detta sul regista che, salvo cose incredibili, farà parlare di sé. E' molto giovane, si sta servendo di un gruppo di attori che ripropone nei suoi film, oltre a già citato duo Pegg-Frost, e soprattutto è riuscito a crearsi una certa aura autoriale. Per capirci meglio "L'alba dei morti dementi" è il primo capitolo(il secondo è "Hot Fuzz", magari ne parlerò..) della trilogia che lui ha già battezzato "Sangue e gelato". Insomma ha tutti i crismi dell'autore postmoderno, alla Tarantino per intenderci, che, che piaccia o no, cita qua e là, con buon gusto sino ad ora, e che si barcamena tra i generi dando ottimi e originali risultati.
A proposito della Tarantino connection, Wright ha fatto uno dei fake trailer di "Grindhouse", un pò come Rodriguez con "Machete" per rendere l'idea. Eccolo:



Scheda Film

Anno e Nazione: 2004, Gran Bretagna

Adieu

lunedì 10 ottobre 2011

May

Scorrendo a ritroso la filmografia di Lucky McKee fu così che incontrai May, film del 2002 interpretato dalla sua attrice feticcio per eccellenza Angela Bettis.
May è una ragazza timida e schiva che sin dall'infanzia, a causa di una menomazione all'occhio ha incontrato difficoltà di socializzazione, la sua unica amica è Susy la bambola che le fu regalata dai genitori. Adesso May lavora presso una clinica(degli orrori) veterinaria gestita da un approssimativo medico di origine armena, sul posto di lavoro conosce Polly una ragazza sempliciotta e carina con la quale stringe una relazione. Ma la vera ossessione di May è nei confronti di Jeremy, un ragazzo gentile che, almeno inizialmente, sembra ricambiare gli amorosi sensi.
Lucky Mckee conferma di essere un regista "al femminile", come già accaduto in The Woman, e di essere perfettamente a proprio agio nella provincia americana. Dimostra di saper destreggiarsi tra i generi(drammatico e horror) utilizzando il secondo elemento con parsimonia e gusto in un crescendo che va di pari passo alla perversione della protagonista. Il deserto affettivo in cui May vive la propria esistenza ne fomenta la rabbia: le basterebbe soltanto una carezza. Considerata "strana" e "diversa" prova con insistenza a diventare "normale": trovare un ragazzo con cui stare e avere un'amicizia femminile. I suoi tentativi sono però delusi, e quando la bambola Susy cade e la teca si frantuma, non le rimane che "costruirsi" da sé l'oggetto del proprio desiderio. May è la storia di un mostro della provincia, per il quale però non si può non provare una certa empatia. E' una ragazza dai modi delicati e innocenti, non sa neanche dare un bacio, dalla fisicità esile e fragile quanto il suo equilibrio psichico, che prova semplicemente ad essere inclusa in una società fatta di persone non migliori di lei. Un'opposizione resa anche nei colori, il bianco dell'innocenza della pelle di May, che una volta vendicativa, viene "sporcato" dal rosso peccaminoso del rossetto, come il sangue che contamina la bianca pozza di latte in una delle scene più interessanti del film.
Grande centralità, infine, ha l'elemento visivo, e l'occhio come strumento per vedere: la benda che le copre l'occhio sinistro oltre alla vista le impedisce un'infanzia felice; gli occhi degli altri sono lo strumento dell'esclusione sociale di May; l'occhio, infine, è l'elemento mancante della sua creatura che ne giustifica l'insano gesto.

Anno e Nazione: 2002, USA

Adieu

venerdì 7 ottobre 2011

Barton Fink - E' Successo A Hollywood

America anni 40'. Barton Fink è un commediografo di origine ebraica che miete successi di pubblico a New York con argute descrizioni dei bassi ceti sociali, dopo qualche resistenza accetta la chiamata losangelina di Hollywood, per scrivere un film sul wrestling. Un'autentica prova del fuoco per il salto di qualità nel mondo del cinema.
Appena giunto in città viene alloggiato all'Earle Hotel, un vecchio e cadente albergo che dal lusso ostentato e fuori moda mostra di aver vissuto tempi migliori. Accolto da un vispo Steve Buscemi gli viene assegnata la camera nella quale dovrà vivere durante tutto il suo soggiorno. Sin da subito Fink incontra una serie difficoltà nella scrittura del soggetto che gli è stato assegnato, nel mentre stringe amicizia con l'elemento disturbante, ovvero il rumoroso vicino di camera Charlie Meadows, un nerboruto e impiccione assicuratore che tra mille chiacchiere prova goffamente ad insegnargli le mosse del wrestling.
Fink inizia a conoscere anche il mondo di Hollywood che, venuto via il sipario, gli appare corrotto, meschino e in crisi idee, soprattutto dopo il deludente incontro con il romanziere Mayhew, da lui sino ad allora considerato un genio. Al contrario è piacevolmente sorpreso dalla segretaria/amante di quest'ultimo, tale incontro però cambierà del tutto il senso del suo soggiorno nella città degli angeli.
Il cinema dei Coen si è capito non essere mai banale, in questo caso è addirittura spiazzante. Quella che appare inizialmente come una classica commedia, umoristicamente mai banale, nel suo divenire muta pelle, aumenta l'accezione grottesca, per arrivare ad un finale tragico e al tempo stesso surreale. E' questo il mondo dei Coen costruito sulle immagini e le interpretazioni perfette, che racconta in modo originale un'America che fu, bigotta e antisemita(si, ci risiamo!), e una Hollywood, mecca del cinema, affascinante e spietata.
Il cast è Coeaniano per eccellenza con un John Turturro qui pericolosamente al confine tra eroe e antieroe, schiacciato dalla pressione di dover scrivere un soggetto affatto interessante che finisce per bloccarlo e mandarlo in crisi. Al suo fianco troviamo un Goodman straripante, sudante e trasudante come le liquide pareti dell'albergo, e alla fine dei giochi pure folle.
Ci sono poi i tanti mestieranti della compagnia come Steve Buscemi, sottoutilizzato, Jon Polito(L'uomo che non c'era) e il gracidante Michael Lerner.
Descrivere con esattezza i passaggi di Barton Fink ne banalizzerebbe la natura: si tratta di un film fatto di momenti, umori e ambientazioni. L'albergo è un luogo tetro, umido, caldo e infestato dalle zanzare, abitato da molte persone, lo si intuisce, che non scorgiamo, ma ne sentiamo rumori e urla provenire dalle altre stanze. Avvolto dalle fiamme ci appare come un girone infernale, dove in ogni stanza viene espiata un colpa diversa.
L'impressione finale è che si è appena finito di guardare qualcosa di(volutamente) incompiuto, e in questo il finale influisce, che non ha bisogno di spiegazioni aggiuntive. Come davanti ad un'illusione o un sogno, come la spiaggia, il mare e la bella donna della scena finale.. Signori! non siamo mica a Hollywood!




Scheda Film

Anno e Nazione: 1991, USA

Adieu

mercoledì 5 ottobre 2011

Rosemary's Baby

Rosemary e Guy formano una giovane coppia di sposi appena trasferitasi in un antico palazzo dall'aria un pò sinistra, proprio in centro a New York.Vengono calorosamente accolti dai due anziani vicini, Minnie e Roman, lei buffa e impicciona e lui "..con le orecchie perforate e gli occhi perforanti..". I rapporti col vicinato si stringono sempre più, la carriera da attore di Guy, sin lì deficitaria, prende un'improvvisa impennata, e al tempo stesso Rosemary rimane incinta. Non si tratterà di una coincidenza ma di un patto col diavolo stretto dal marito per ottenere fama e successo.
In uno dei suoi rari inserimenti nel cinema horror Roman Polanski firma uno dei capolavori assoluti del genere, che lo pone tra i pionieri del sottogenere satanista. Rosemary's baby è un horror gotico, claustrofobico e onirico che turba per le ambientazioni opprimenti piuttosto che per le immagini cruente. Racconta l'incubo vissuto da Rosemary, una Mia Farrow emaciata nell'aspetto ma mai doma, da più parti congiurata, segretamente drogata e stretta in una terribile morsa per la responsabilità di portare in grembo il figlio di Satana. La setta satanica che la attanaglia è fatta di famiglie agiate di professionisti, un pò simpatici nonni e un pò stregoni. A riguardo perfette risultano le interpretazioni di Ruth Gordon, nella parte di Minnie, ruolo che le fece guadagnare un oscar, e del marito Sidney Blackmer.
Il satanismo proposto nella pellicola di Polanski non è una forma di male lontana nel tempo e nello spazio, figlia di una superstizione ancestrale, ma al contrario è una presenza vicina e vitale, che si nutre e cerca di proliferare nella grande mela, il cuore del mondo occidentale, come suggerito dalla poetica scena finale divisa tra la rassegnazione e l'istinto di madre.
Già in questa pellicola troviamo elementi che il regista franco-polacco successivamente riprenderà in altre sue opere, mi viene in mente soprattutto il thriller psicologico "L'inquilino del terzo piano" per l'utilizzazione dell'elemento gotico costituito dal palazzo e l'atmosfera cospirante creata dai vicini di casa.
Infine Rosemary's baby è anche il più classico dei film maledetti: la pellicola ha indissolubilmente legato la figura del regista e il tema trattato alla cronaca giornalistica. Il 9 Agosto del 1969, pochi mesi dopo l'uscita del film, Sharon Tate, moglie di Polanski e incinta di 8 mesi, perse la vita nella cosiddetta "Strage di Bel Air", vittima di un macabro rito satanico commissionato da Charles Manson.


"Dio è morto e solo Satana vive nel mondo"




Scheda Film

Anno e Nazione: 1968, USA

Adieu

martedì 4 ottobre 2011

The Woman

The Woman è una donna cresciuta in mezzo ai boschi, vive tra gli animali comportandosi come loro, combatte con loro e si ciba di loro. E' un essere selvaggio.
Christopher Cleek è un avvocato con la passione per la caccia, quando incontra la donna selvaggia prima la addormenta e successivamente la porta in casa. Legata e immobilizzata la mostra alla famiglia come fosse un trofeo di caccia, il suo obiettivo è quello di "liberarla" da questo stato di non civiltà. La donna però non si mostra collaborativa(vedasi la falange che vola via!) ma Chris decide di insistere, i risvolti saranno sorprendenti.
Quando Lucky McKee ha presentato il suo ultimo lavoro al Sundance Festival 2011... e di solito la storia continua in questa maniera: qualcuno del pubblico si è sentito male...; i critici si sono alzati in piedi per protestare...; il film è stato accusato di... e così via. La storia sembra ripetersi ciclicamente per tante pellicole della storia del cinema con vittime più o meno illustri. Senza ombra di dubbio il film di McKee non è una di quelle pellicole che lasciano indifferenti, leggendo tra le pieghe del film è facile l'accusa di misoginia, cosa che peraltro a me personalmente appare un pò eccessiva e moralistica.
Ma andiamo con ordine: McKee non è di certo il primo regista che decide di fare un salto nella middle class di provincia americana, già altri registi si sono addentrati nell'argomento con intenti più o meno sociologici(mi viene da pensare a Donnie Darko). Nel nostro caso viene proposto un nucleo familiare strutturato attorno alla figura del padre padrone, da quest'ultimo dipende una moglie silenziosa e remissiva, una figlia adolescente che porta con se un malessere sottaciuto, un figlio che, oltre a qualche problema di inserimento a scuola, inizia ad assumere sempre più i comportamenti del padre, ed infine una figlia più piccola che vede il mondo con occhi ancora innocenti.
The Woman è un horror che vive di opposizioni, la prima è senza dubbio quella uomo-donna, da qui ne consegue quella tra uomo civilizzato e donna selvaggia, tra ragione e istinto, tra libertà e cattività. McKee, in un crescendo di sadismo, inizia a disvelare i terribili segreti che stanno dietro questa famiglia, non mostrando tutto e lasciando che sia l'immaginazione dello spettatore a farlo, sarà soltanto nel finale che le immagini esplodono con vigore agli occhi di chi guarda.
Alla fine della corsa credo che The Woman getti l'occhi non soltanto sulla donna protagonista del film, impersonata con la giusta rabbia dall'ottima Pollyanna McIntosh(The Exam), ma sulla condizione della donna in generale, quella della moglie sottomessa e umiliata(l'espressività degli occhi inespressivi di Angela Bettis) e della figlia violentata, in una paese come l'America che fa delle parole libertà e civiltà un uso che sfocia spesso nell'abuso.




Scheda Film

Anno e Nazione: 2011, USA

Adieu

lunedì 3 ottobre 2011

Breaking Bad

Sul fatto che il livello qualitativo delle serie Tv non abbia più nulla da invidiare a quello del classico film credo che siano rimasti pochi dubbi. Non a caso un numero sempre maggiore di ottimi registi, sceneggiatori e attori si cimentano in questo genere con straordinari risultati. La possibilità di diluire la storia in un tempo più ampio(le cosiddette stagioni) permette di descrivere ciò che spesso in un film non può essere detto e approfondito.
Vince Gilligan, creatore e produttore della serie(in passato tra le menti di X-Files) sfrutta appieno questo punto di forza, disegnando con cura, attraverso le stagioni, dei personaggi che portano avanti un cammino di cambiamento, partendo appunto da un "Breaking bad", ovvero un punto di rottura.
I protagonisti sono Mr. Walter White e Mr. Jesse Pinkman(vi ricordano per caso, che so, Mr. White eMr. Pink de Le Iene?), il primo è il classico ordinary man professore di chimica in un liceo di Albuquerque nel New Mexico, i suoi modi sono gentili sino al punto di apparire remissivo. Ha da poco superato la soglia dei cinquant'anni quando gli viene diagnosticato un tumore incurabile ai polmoni. Il secondo è invece un giovane spacciatore, ex alunno di Mr. White, caratterialmente fragile e ansioso. Le loro strade si incrociano quando Mr.White decide di sfruttare le proprie conoscenze in fatto di chimica per cucinare una metanfetamina purissima, così da poter guadagnare quei soldi che assicurino sicurezza economica alla famiglia che sta per lasciare. La famiglia di Mr White è composta dalla moglie Skyler,in stato interessante, e dal figlio Walter White Jr. adolescente che, a causa di un handicap, è costretto a camminare con delle stampelle.
Il passaggio da uomo mediocre a cuoco di metanfetamine non è un passaggio semplice ed istantaneo, al contrario è irto di pericoli e situazioni rocambolesche. Mr. White inoltre ha il sorvegliante in casa, deve infatti guardarsi bene dal cognato Hank, agente della DEA, il nucleo antidroga della polizia, e per questo motivo tramite un ingegnoso sistema di bugie e sotterfugi lascia intatta la propria di immagine di insospettabile.
Breaking Bad è essenzialmente una serie drammatica, una storia di rinunce e cattivi sentimenti, un viaggio all'interno del mondo dellameth, la metanfetamina in cristalli, la droga del momento soprattutto negli Stati Uniti, descritto senza tanti fronzoli e moralismi.
Mr. White e Mr. Pink sono degli uomini soli, che per motivi diversi rinunciano a qualcosa di importante, uniti da un rapporto che vive di ambivalenze, momenti di odio e di grande unione tra i due, a volte padre e figlio in altri momenti colleghi e amici.
Gilligan realizza un'ottima descrizione psicologica dei personaggi(e sono tanti..) senza dimenticare una resa visiva molto interessante. La sua è una regia snella e al tempo stesso creativa: molti i timelaps su scorci mozzafiato delle zone desertiche del New Mexico, le soggettive su oggetti e persone, e l'utilizzo di filtri colorati di grande effetto. Propone un cast più che all'altezza: oltre ai due protagonisti(Bryan Cranston su tutti), spiccano RJ Mitte, il White Jr., attore che supera alla grande una prova non facile, e Giancarlo Esposito(scuola Spike Lee), straordinario nell'interpretazione dell'enigmatico Gus Fring.




Scheda Serie Tv

Anno e Nazione: 2008, USA

Adieu